L’opinione del minore, nei procedimenti che lo riguardano, costituisce un elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse

Il caso in esame prende le mosse da uno dei tanti procedimenti instaurati per il riconoscimento della paternità. Nel corso del giudizio, il minore “oggetto” della contesa non era stato ascoltato dal giudice competente, proprio perché di età inferiore ai dodici anni.

Il giudizio, proseguì poi, in appello e nel frattempo il fanciullo compiva gli anni dodici; ma parimenti, anche i giudici dell’appello omettevano di ascoltarlo, senza neppure motivare tale omissione.

L’opinione della Cassazione

Va osservato che l’art. 336bis (introdotto dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 53, in vigore dal 7/12/2014) sancisce il generale obbligo dell’ascolto del minore. Al riguardo, l’opinione del minore, nei procedimenti che lo riguardano, costituisce un elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse anche alla luce dell’art. 12 della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, dell’art. 7 della Convenzione di Strasburgo del 1996 relativa all’esercizio dei diritti dei minori, ratificata con legge n. 77/2003; dell’art. 24, § 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Dall’esame delle norme che riguardano l’ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano, emerge necessariamente una diversa modulazione dell’obbligo di ascolto del minore a seconda che egli abbia compiuto i dodici anni o abbia età inferiore.

Per la prima ipotesi – precisa la Cassazione – vale la presunzione della capacità di discernimento fissata dalla legge, che impone al giudice di primo grado di prevedere, anche officiosamente, (Cass. 19202 del 2014) una scansione procedimentale dedicata all’ascolto stesso (Cass., n. 1687/13; n.6129 del 2015); essa deve svolgersi secondo le modalità stabilite dell’art. 336bis, commi 2 e 3, all’interno delle quali spiccano l’obbligatorietà della conduzione da parte del giudice e la preventiva informazione del minore sulla natura del procedimento e sugli effetti dell’ascolto, salvo che motivatamente non si ritenga l’ascolto superfluo o contrario all’interesse del minore.

La mancanza di un’esplicita motivazione al riguardo determina la nullità del procedimento di primo grado per omessa ingiustificata audizione dello stesso minore.

Secondo l’orientamento consolidato, se il minore compie 12 anni nel giudizio d’appello (Cass., n. 15365 del 2015, con specifico riferimento al procedimento adottivo), come nel caso concreto, “il giudice del gravame è tenuto a procedere alla sua audizione, riflettendo tale obbligo una nuova considerazione del minore quale portatore di bisogni ed interessi che, se consapevolmente espressi, pur non vincolando il giudice, non possono essere ignorati”. (Cass., n. 15635/2015; n. 5676/17).

Ne deriva che è solo con il compimento del dodicesimo anno d’età che sorge l’obbligo del giudice di ascoltare il minore e della motivazione espressa della scelta contraria, anche senza un’istanza di parte; l’omissione è causa di nullità della sentenza rilevabile come motivo di impugnazione.

Nel caso in cui il minore, sia invece infra dodicenne, il giudice riserva in capo alla sua autorità il potere discrezionale d’ascolto, residuando, anche in questo caso, l’obbligo di ascolto o di motivazione in caso contrario, se vi è un’istanza di parte che indichi gli argomenti e i temi da approfondimento con l’audizione medesima. (art. 336, 2c., c.c.).

L’ascolto del minore

Il tema dell’audizione dei minori nei processi che li riguardano è da anni, oggetto di ampio dibattito.

L’esigenza è quella di creare un sistema comunicativo capace di entrare in rapporto diretto con essi, valorizzandone soggettività e unicità.

“Ascoltare” è anche la capacità di accettare e capire le comunicazioni verbali e non verbali dell’altro e non semplice “sentire” quale fenomeno di natura fisica legato agli organi di senso (FADIGA).

L’ascolto del minore nelle procedure giudiziarie ha assunto nel tempo sempre più rilievo; ma già la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989 e la Convenzione europea dei diritti dei fanciulli del 1996 ne avevano sottolineato l’importanza.

Quanto al nostro diritto nazionale, sebbene, il minore non sia considerato parte del processo, non avendo autonoma capacità processuale (non a caso è previsto il principio della rappresentanza legale dei figli da parte dei genitori), non può sottacersi che corrisponde a un principio altrettanto ineludibile dell’intero sistema, quello di considerarlo soggetto autonomamente titolare di diritti. Ne consegue tutta l’importanza della sua tutela anche sul piano processuale, attraverso lo strumento dell’ascolto.

Cosicché con la sentenza in commento la Cassazione ha voluto ribadire che in alcuni casi il minore deve essere obbligatoriamente ascoltato dal giudice in relazione all’età raggiunta: solitamente viene riferita alla fascia compresa tra i 10 e i 14 anni; negli altri casi, è rimessa al giudice la decisione, in base alla riconosciuta o meno capacità di discernimento del minore stesso. (CAVALLO).

Avv. Sabrina Caporale

 

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