Separazione e tutela del superiore interesse del minore. Tribunale Roma, n. 23857/2015 (dep. 13/11/2015).

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Come noto, separazione e divorzio rappresentano dei “processi” che portano inevitabilmente ad un’evoluzione delle relazioni familiari sul piano coniugale, sul piano genitoriale nonché sul piano dei rapporti verso l’esterno, si pensi ad esempio ai rapporti con la famiglia d’origine e/o con gli amici. Uno dei principali compiti che la famiglia separata si trova, infatti, ad affrontare è la riorganizzazione delle relazioni familiari a livello coniugale e genitoriale. Non sempre è facile gestire, a livello coniugale, il conflitto emergente dalla separazione in maniera cooperativa, dovendo innanzitutto riconoscere ed elaborare il “fallimento” del proprio legame.

Contemporaneamente, sul piano genitoriale è necessario che gli ex coniugi continuino a svolgere i ruoli di padre e di madre, riconoscendosi come tali ed instaurare un rapporto di collaborazione e cooperazione per tutti gli aspetti che riguardano l’esercizio della genitorialità. La conflittualità che molto spesso accompagna le separazioni coniugali rende i genitori ciechi davanti ai bisogni affettivi dei propri figli. Molte volte i genitori, consapevolmente o inconsapevolmente, affrontano la rottura del rapporto col proprio partner, contendendosi l’affidamento del bambino o della bambina, chiamandolo/a a scegliere tra uno di loro.

Il perdurare del conflitto, nonché l’elevata tensione da essa derivante, costituisce la principale causa di stress non solo per la coppia ma anche e soprattutto per i figli che continuano ad essere coinvolti in dinamiche dolorose e traumatizzanti. La sentenza del Tribunale di Roma, quest’oggi in commento, è importante sotto diversi aspetti. Primo fra tutti la previsione di un potere in capo al giudice della separazione, di prescrivere – laddove necessario -un percorso di sostegno alla genitorialità a quei genitori ex coniugi in stato di elevata conflittualità fra di loro.

Secondo aspetto, principio peraltro ampiamente condiviso in giurisprudenza, quello per cui la conflittualità esistente tra i coniugi non costituisce ostacolo all’affidamento condiviso. Come ricordano i giudici del Tribunale capitolino, l’affido condiviso rappresenta “uno strumento attraverso il quale si pongono le condizioni per una crescita il più possibile equilibrata e serena della prole”, e di conseguenza “la conflittualità genitoriale non può di per se costituire ostacolo all’adozione prioritaria” del modello di affido condiviso “essendo il conflitto la ricorrente condizione della coppia richiedente in via giudiziaria il mutamento di status” e comunque giustificandosi un eventuale affido esclusivo solo in presenza di una “patologia nel rapporto tra il genitore escluso dall’affido ed il figlio, ovverosia l’incapacità diretta del primo ad entrare in relazione diretta con il minore”.

Invero, se si dovesse escludere l’affido condiviso in tutti i casi in cui, in una separazione coniugale si registra un rapporto conflittuale tra ex coniugi, sarebbero pressocchè rare le ipotesi di applicazione del regime ordinario di affidamento dei minori previsto dall’art. 337 ter c.c. Ciò detto, proprio in relazione ai casi in cui il rapporto fra coniugi, si connoti da una elevata conflittualità, è previsto in capo al giudice della famiglia, la possibilità di prescrivere opportunamente, un percorso di “sostegno genitoriale”, che si configuri quale sorta di terapia finalizzata a ridurre lo stato di tensione tra i due e, sempre e comunque nel superiore interesse della prole.

È una sentenza questa che fa discutere giacché si pone in aperto contrasto con una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, la n. 13506 luglio 2015, ove al contrario, si esclude la possibilità per il giudice di prescrivere ai genitori, in analoghe situazioni a quella quest’oggi in commento, l’onere di sottoporsi ad un percorso di sostegno alla genitorialità come quello poc’anzi delineato, poiché esso costituirebbe una evidente violazione della libertà personale fra le parti.

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Al contrario, secondo il Tribunale romano il disposto percorso terapeutico non si tradurrebbe in una “violazione della libertà personale dei coniugi, tratta(ndosi) di un onere, ovverosia di una facoltà che essendo condizionata ad un adempimento non è mai, essendo prevista nell’interesse dello stesso soggetto onerato, obbligatoria, tanto è vero che è priva di conseguenze sanzionatorie personali nel caso in cui rimanga inattuata, ricadendone (piuttosto) gli effetti sul regime di affido applicabile, sia perché è insuscettibile di esecuzione coattiva, trattandosi esclusivamente della condizione posta dal giudice per il raggiungimento della pienezza dei paritetici poteri genitoriali nei confronti (dei figli) introdotta dalla novella 54/2006, sia perché trattasi di strumento attraverso il quale si pongono le condizioni per una crescita il più possibile equilibrata e serena della prole in ragione della tutela del superiore interesse del minore che il giudice della famiglia è chiamato in prima istanza a salvaguardare”.

In sostanza, nel caso di specie, la prescrizione di un “onere” per le parti di proseguire il percorso di sostegno alla genitorialità, con il monitoraggio dei servizi sociali, rappresenta uno strumento, anzi l’unico strumento, a disposizione del giudice per aiutare la coppia a superare la conflittualità, sempre nel rispetto del diritto del minore alla bi-genitorialità per una crescita equilibrata. Si tratta, in ogni caso, di un onere per i genitori. Non di un obbligo. Laddove, tuttavia, i coniugi non dovessero intraprendere il percorso anzidetto, è sempre prevista la possibilità di una modifica del regime d’affido condiviso. L’art. 709 ter c.p.c., di recente introduzione, disciplina le ipotesi di controversie insorte tra i genitori relativamente all’affidamento.

Parallelamente l’art. 155 del Codice Civile, dispone che “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con entrambi (…). 

Non solo. Ma al fine di realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e el modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì  la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire a mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. 

Già in passato, la Corte di Appello di Catania (Corte di Appello di Catania, Sez. Famiglia, decreto 9 giugno 2008) aveva affermato, che “neanche la forte tensione nel rapporto tra padre e figlio, profondamente incrinato da un consistente periodo di silenzio e di assenza di contatti, si può considerare ragione ostativa all’applicazione dell’affido condiviso”. E ancora, la Corte di Appello di Potenza (Corte di Appello di Potenza, 14 novembre 2006): “neanche si possono annoverare tra gli elementi sfavorevoli all’affido condiviso l’accesa conflittualità tra i coniugi e la relativa incapacità di comunicare: si considera oggi preminente “l’interesse del minore a vivere quanto più possibile con entrambi i genitori senza che nessuno di essi venga escluso dalla sua vita quotidiana”.

L’orientamento giurisprudenziale maggioritario riconosce addirittura un valore promozionale e simbolico alla nuova normativa, capace di condurre i coniugi al superamento dell’intollerabilità nei propri rapporti e al recupero di un clima di serenità. In questa prospettiva l’affidamento condiviso può essere in grado di porre fine alle reciproche rivendicazioni e di imporre alle parti una civile collaborazione (Trib. Messina, 13 dicembre 2006).

Resta, tuttavia, un’importante “fetta” della giurisprudenza di merito che ritiene l’elevata conflittualità tra coniugi, come ostativa all’affido condiviso: “In tema di affidamento dei figli minori, l’evidente conflittualità tra i coniugi impedisce l’applicabilità dell’affidamento condiviso” (App. Ancona, decreto 23.11.06); “In presenza di caratteristiche personali di un genitore che lo rendano pervicacemente restio a seguire ogni indicazione che possa favorire un riparto non conflittuale delle funzioni genitoriali, solo l’affidamento esclusivo della prole all’altro genitore pare la soluzione che meglio possa assicurare il sereno sviluppo della personalità dei figli stessi, in conformità agli obiettivi perseguiti dalla previsione normativa di cui all’art. 155-bis c.c. in caso di violazione dei doveri genitoriali”.(App. Milano, decreto 30.3.06) e ancora, “L’affidamento condiviso richiede, per essere concretizzato, necessita una convergenza di intenti da parte dei genitori ed una consapevole adesione ad un programma educativo comune difficilmente realizzabile nell’ipotesi di accesa conflittualità tra i coniugi”  (App. Bari, 19.1.07, in Fam. Dir., 2008, 300).

Anche in dottrina, poi, si è affermata la necessità del superamento dell’antica logica dei “ruoli genitoriali”(CAMPAGNOLI): non vi può essere più un genitore che dispone del tempo e dell’affetto del figlio e un altro che deve chiedere l’autorizzazione per usufruire di ritagli di tempo, a lui concessi da un giudice. In vero, contestualmente alle valutazioni circa l’opportunità dell’affido condiviso, il giudice deve determinare i tempi e le modalità della presenza dei figli minori presso ciascun genitore. La norma non prevede, tuttavia, in caso di affido condiviso l’obbligo per il giudice di indicare anche un genitore convivente: tuttavia è indubbio che il minore debba avere una stabile dimore.

Come criterio generale è preferibile che questi venga collocato presso il genitore con cui ordinariamente vive, non appare opportuno ,di contro, una collocazione alternata o l’alternanza dei genitori presso la casa in cui egli vive. È chiaro, tuttavia, che la disposizione in esame non esclude la possibilità che il minore abbia due dimore, senza che per questo si possa parlare di affidamento alternato. Si registrano, inoltre, decisioni –anche note alla cronaca nazionale – ove i Tribunali hanno allontanato la prole da entrambi i genitori, sempre in nome del superiore interesse morale e materiale di cui parla il legislatore.

Avv. Sabrina Caporale

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