Secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, nell’ambito del rapporto medico-paziente, quest’ultimo non ha l’onere di provare la colpa del sanitario, salva la prova del nesso di causa tra la condotta colposa e il danno di cui domanda il risarcimento 

Rapporto medico-paziente: la specifica vicenda

L’azione era stata promossa dai congiunti di una paziente deceduta a seguito di un intervento chirurgico.
Ritenendo che tale evento fosse stato conseguenza di un colpevole errore medico, padre e marito della vittima citavano in giudizio l’ospedale e i sanitari coinvolti nella vicenda.
In primo grado, il Tribunale di Milano, eseguita una CTU medico-legale, respinse le domande attoree, con sentenza confermata anche dalla Corte d’appello, che aveva dichiarato di condividere le conclusioni del perito, secondo cui “il decesso della paziente non era riconducibile ad un comportamento colposo del personale sanitario dell’ospedale citato in giudizio, ma a complicanze note in relazione all’intervento, prevedibili, ma non prevenibili, quali embolia polmonare, anuria, infarto intestinale, shock settico”, con esclusione della sussistenza di “comportamenti imperiti o negligenti da parte dei sanitari, né negli accertamenti pre-operatori, né nel trattamento chirurgico, né nella gestione del paziente dopo l’intervento”.
Sulla vicenda si sono pronunciati i giudici della Terza Sezione Civile della Cassazione (n. 6593/2019), su ricorso presentato dagli originari ricorrenti, i quali lamentavano l’illogicità della motivazione impugnata, ritenendo che il Tribunale di Milano, avesse “ingiustamente addossato al paziente-creditore, anziché al danneggiante, la prova del nesso causale” e che la Corte, confermando tale pronuncia, non avesse “spiegato perché essa sarebbe stata conforme al diritto”.
Secondo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, anche in ambito di responsabilità professionale sanitaria, la previsione dell’art. 1218 c.c. solleva il creditore dell’obbligazione che si afferma non adempiuta (o non esattamente adempiuta) dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui domanda il risarcimento (Cass. n. 18392/2017 e Cass. n. 29315/2017)

Ma i giudici della Corte hanno respinto il ricorso.

La sentenza impugnata aveva correttamente dato atto del fatto che l’ospedale convenuto, avesse sostanzialmente preso posizione su ogni circostanza dedotta dalle attrici nell’atto introduttivo di primo grado, offrendo un inquadramento della fattispecie diverso ed opposto rispetto a quello dedotto dalle controparti, sicché non residuava alcun ambito rispetto al quale potesse ritenersi integrata una mancata contestazione idonea a sollevare la parte attrice dall’onere di provare gli addebiti mossi alla convenuta e il giudice dal compito di procedere alla loro verifica.
L’accertamento in merito alla assenza di responsabilità della struttura sanitaria nella produzione dell’evento letale della donna rendeva superflua anche l’analisi del nesso di causalità tra l’operato dei sanitari e l’evento stesso.
Non soltanto, perché l’esclusione di qualsiasi profilo di condotta colposa dei sanitari dell’ospedale non consentiva neppure di “prendere in considerazione la possibilità di soluzioni alternative che avrebbero consentito un prolungamento e/o una migliore qualità della vita della paziente e, quindi, della sussistenza di pregiudizi in tal senso risarcibili”.
A tal proposito, i giudici della Cassazione hanno ricordato che il danno da perdita di chances terapeutiche presuppone l’esistenza di una condotta colposa – commissiva od omissiva- che integri la causa del pregiudizio.
Quanto al motivo relativo al danno per inidoneo consenso informato, la Corte territoriale aveva già rilevato che il documento era “redatto con un linguaggio chiaro, che unisce ad una precisione tecnica e ad una dettagliata descrizione delle varie problematiche connesse alla specifica tipologia dell’intervento, un’esposizione efficace, che utilizza espressioni e descrizioni comprensibili da chiunque”.
Per tutti questi motivi il ricorso è stato definitivamente respinto e condannati i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

 
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