In tema di reati tributari, il legale rappresentante di un’azienda subentrante può essere chiamato a rispondere dei reati tributari risalenti a precedenti gestioni, purché vi siano elementi dai quali si possa desumere l’esistenza del dolo eventuale

La vicenda

Un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma aveva confermato la decisione del Gip con cui era stato disposto il sequestro preventivo sui saldi attivi giacenti sui rapporti finanziari di una società e, in caso, di incapienza, per equivalente sui rapporti finanziari riconducibili ai suoi amministratori, tutti indagati del reato di cui agli artt. 110 c.p. e art. 3 del d.lgs. n. 74/2000(dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici).

Contro tale provvedimento formulava ricorso per Cassazione, il difensore dell’amministratore subentrante nella società, il quale nel sostenere l’assoluta mancanza dell’elemento soggettivo del suo assistito, poneva l’accento su due aspetti: la circostanza della difficile rilevabilità delle anomalie in contestazione dai bilanci, risalenti a precedenti gestioni; il fatto che la stessa Agenzia delle entrate avesse ammesso la difficoltà di tale accertamento.

Ma il ricorso non è stato accolto.

Ed infatti, dopo aver ricordato che “in tema di sequestri probatori e preventivi, il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia i vizi quei vizi di motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, tali da rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice”, i giudici della Suprema Corte hanno confermato l’ordinanza impugnata.

Le osservazioni addotte dalla difesa, circa l’insussistenza dell’elemento soggettivo, erano inidonee a sovvertire l’analisi effettuata dalla Corte di merito, la quale aveva fatto applicazione del principio di diritto in base al quale: in linea di principio, il legale rappresentante di un’azienda subentrante può essere chiamato a rispondere dei reati tributari risalenti a precedenti gestioni, purché vi siano elementi dai quali si possa desumere l’esistenza del dolo eventuale, per non avere verificato diligentemente contabilità e bilanci.

Tale principio è stato pronunciato dalla Terza Sezione Civile della Cassazione con la sentenza n. 30492 del 2015, laddove ha affermato che: “in tema di reati tributari, il liquidatore di una società di capitali può rispondere, in relazione alle dichiarazioni annuali presentate dopo il suo insediamento, dei reati di cui agli artt. 2 e 4 del D.Lgs 3 ottobre 2000, n. 74 purché emergano elementi dai quali poter desumere quanto meno la sussistenza del dolo eventuale, e dunque la conoscenza o conoscibilità, attraverso una diligenze verifica della contabilità e dei bilanci, della fittizietà delle poste e della falsità delle fatture inserite nella dichiarazione”.

La decisione

Nel caso in commento, “il sistema non era occulto, in quanto i presunti esportatori abituali della società erano spesso soggetti economici irreperibili, privi di una struttura societaria, incapaci di stilare la lettera di intento; erano le stesse società del gruppo a proporre in vendita ai reali acquirenti italiani le stesse auto che poi vendevano ai suddetti soggetti interposti; e la società dell’indagato in molti casi riceveva pagamenti non dagli esportatori abituali, ma direttamente dagli acquirenti finali italiani che le avevano formalmente acquistate dai suddetti esportatori”.

Peraltro, dalle ulteriori indagini svolte dal Ufficio centrale Antifrode risultava chiaro il coinvolgimento dell’indagato nella vicenda e dunque, corretta era stata la decisione del Tribunale del Riesame per aver ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

La redazione giuridica

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