La condotta è perseguibile penalmente solamente in caso di “violenza” o di “minaccia” del soggetto che si oppone all’atto del pubblico ufficiale stesso

Condannato in primo e secondo grado di giudizio per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale, un soggetto aveva presentato ricorso davanti alla Corte di Cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza. In particolare, con riferimento al reato di cui all’articolo 337 del codice penale, l’uomo riteneva la condanna ingiusta in quanto si era limitato a fuggire, tenendo quindi un comportamento meramente passivo.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17061/2017, ha ritenuto di accogliere tali argomentazioni accogliendo il relativo ricorso in riferimento al reato in questione. I Giudici del Palazzaccio hanno infatti chiarito che il reato di resistenza a pubblico ufficiale presuppone una condotta di “violenza” o di “minaccia” del soggetto che si oppone all’atto del pubblico ufficiale stesso.
Pertanto, affinché sia integrato l’illecito occorre che l’imputato impieghi la forza nei confronti del pubblico ufficiale, tenendo un comportamento “percepibile come minaccioso” e “volto a contrastare il compimento dell’atto del pubblico ufficiale”. Al contrario, il delitto non è configurabile in caso di mera resistenza passiva, come nel caso di fuga.
Nel caso in esame non era stato provato che il condannato fosse fuggito agli agenti “tenendo una condotta di guida tale da porre deliberatamente in pericolo l’incolumità personale degli agenti inseguitori e della collettività “; pertanto, il reato non poteva considerarsi sussistente e la relativa pena comminata dalla Corte di Appello è stata annullata.
Tale orientamento era stato già espresso dalla Suprema Corte con sentenza n. 35448/2002; in tale circostanza gli Ermellini avevano precisato che “nel reato di resistenza a pubblico ufficiale, la violenza o minaccia deve consistere in un comportamento idoneo ad opporsi all’atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo, in grado di ostacolarne la realizzazione; sicché, in mancanza di elementi che rendano evidente la messa in pericolo per la pubblica incolumità e l’indiretta coartazione psicologica dei pubblici ufficiali, l’agente non deve rispondere di tale reato”.

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