Come noto, in materia di responsabilità medica, il vero problema sta nel provare il nesso casuale esistente tra la condotta del sanitario e l’evento. Attorno a questo tema si sono sviluppate le varie soluzioni giuridiche

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-11-2015) 26-11-2015, n. 46978

Cinque medici in servizio presso il reparto di chirurgia di un ospedale italiano, tutti indagati poi assolti, per aver omesso le cure a un paziente ricoverato per sindrome da schiacciamento, e per aver omesso di trasferirlo tempestivamente presso il reparto di rianimazione, così determinando l’insorgenza di una irreversibile insufficienza renale che ne cagionava la morte.

E se accertare il nesso causale, in materia di responsabilità medica non è un’impresa da poco, a confermarlo, ancora una volta, sono i giudici della Cassazione con una recentissima sentenza.

Le difficoltà maggiori sono da intendersi, sia in ambito penale sia civile; senza contare tutti i problemi relativi alla individuazione dei criteri di ripartizione degli oneri probatori.

Come noto, in materia di responsabilità medica, il vero problema sta nel provare il nesso casuale esistente tra la condotta del sanitario e l’evento. Attorno a questo tema si sono sviluppate le varie soluzioni giuridiche.

Nell’esperienza giuridica causa è ogni circostanza (fattore o condizione) che si inserisce nel corso normale degli eventi provocandone un cambiamento nel loro usuale succedersi. Con riferimento alla condotta umana, è causale quella condotta (azione od omissione) alla quale segue sempre, o almeno, secondo l’ “id quod plerumque accidit”, il verificarsi dell’evento dannoso e pericoloso, e ciò indipendentemente dal concorrere di condizioni preesistenti o simultanee ovvero sopravvenute, a meno che queste ultime risultino da sé sufficienti a determianre l’evento. (Cass. Pen., Sez. IV, 21.5.1998, n. 8217).

Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate in materia (Cass. Civ., Sez. Un., 576/2008), ai fini dell’accertamento della sussistenza e della misura dell’obbligo risarcitorio occorre accertare un duplice nesso causale, quello tra la condotta illecita e la lesione dell’interesse (c.d. causalità materiale) e quello tra quest’ultima ed i danni che ne sono derivati (c.d. causalità giuridica).

Ma perché vi sia diritto al risarcimento occorre che risultino sussistenti i tre elementi costitutivi (condotta, lesione e danno) e che vengano accertati i nessi causali appena descritti.

Trattandosi di responsabilità medica, occorre inoltre verificare se dall’azione od omissione del sanitario sia derivata una lesione all’integrità fisica o psichica del paziente e, successivamente procedere ad una qualificazione e quantificazione dei danni.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’indagine relativa all’accertamento del nesso di causalità materiale deve essere condotta alla luce degli artt. 40 e 41 c.p., mentre il nesso di causalità giuridica va accertato in base al principio enunciato dall’art. 1223 c.c., per il quale il risarcimento deve comprendere le perdite “che siano conseguenza immediata e diretta del fatto lesivo.

In particolare, la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, ispirate dal principio penalistico di cui agli artt. 40 e 41 c.p. sono concordi nel ritenere che un evento può dirsi causato da un altro se, ferme restando le condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non) e se non sia sopravvenuto, nella concatenazione causale, un altro fatto di per sé idoneo a determinare l’evento (c.d. principio della causalità efficiente, art. 41, comma 2, c.p.).

Pertanto, secondo la teoria della “regolarità causale” ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili.

La natura effettiva e reale della causalità commissiva non sempre però si traduce automaticamente nella chiara evidenza del sistema della produzione dell’evento.

Ecco perché, al fine di accertare il nesso causale tra condotta ed evento, deve farsi riferimento alla teoria della equivalenza causale temperata, secondo cui potrà essere considerato causa quell’antecedente storico idoneo, secondo un criterio di probabilità scientifica, a cagionare un determinato evento, con la precisazione che il nesso causale deve essere accertato “valutando tutti gli elementi della fattispecie, al fine di stabilire se il fatto era idoneo a produrre l’evento” (cfr. Cass. 23059/2009).

Non è necessaria una certezza scentifica, essendo sufficiente l’accertamento di un “serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica”, purché sorretto da ulteriori elementi, idonei ad avvalorare giuridicamente le conclusioni svolte in termini probabilistici (cfr. Cass. 14759/2007).

Nel caso in esame, i giudici di merito, investiti della vicenda, pur riconoscendo in capo ai sanitari, indubbie omissioni terapeutiche, non potevano dichiarare con quella necessaria certezza, il momento di insorgenza della sindrome da schiacciamento e soprattutto non potevano dire provato l’esito altrimenti salvifico di iniziative appropriate e tempestive.

Dalle relazioni peritali era, infatti emerso che circa il 22% di pazienti in casi del genere non sopravvive alla sindrome e che nel caso di specie il quadro clinico ebbe una rapida evoluzione nonostante il trattamento dialitico. In particolare la dialisi precoce non sarebbe stata in grado di ridurre la mortalità in modo statisticamente significativo.

Queste le ragioni che condussero gli stessi giudici a decidere per l’assoluzione dei cinque medici.

Della stessa opinione anche i giudici ermellini che, dopo aver condiviso l’apprezzamento del primo giudice in ordine alla mancanza di prova certa del nesso causale; confermavano la sentenza di assoluzione in ordine a tutti gli imputati.

Avv. Sabrina Caporale

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