Troppi secondo le compagnie assicurative, in base alla ridotta aspettativa di vita, gli oltre 5 milioni stabiliti in primo grado a favore della famiglia di una bambina rimasta invalida dopo il parto

Era rimasta invalida al 100% alla nascita, nel 2008, a causa di alcune lesioni neurologiche intervenute durante il parto, all’ospedale di Rovigo. Alla piccola e alla mamma, lo scorso settembre, il Tribunale civile aveva riconosciuto un risarcimento pari a oltre 5 milioni di euro. Ma per le compagnie assicurative di medici e struttura sanitaria, ricorse in appello, la cifra sarebbe troppo alta a causa della ridotta aspettativa di vita della ragazza.
Una motivazione che ha fatto indignare i genitori della bambina. “Non possiamo che provare rabbia, stanchezza e frustrazione, nel vedere come nostra figlia sia considerata come un oggetto, senza un cuore e senza un’anima. Per soldi si infierisce ancora su una bambina che è stata condannata ad una vita in gabbia per colpa di errori altrui e qualcuno si permette di dire quanti anni vivrà senza nemmeno visitarla, dicendo che siccome morirà presto dobbiamo restituire il risarcimento che il giudice in primo grado ha deciso con una sentenza esecutiva”.

Nel determinare l’entità del risarcimento, il Giudice di primo grado aveva  tenuto conto del danno non patrimoniale (1,9 milioni) e di quello patrimoniale (2,7 milioni).

In particolare, quest’ultima voce era stata calcolata  considerando una somma di circa tremila euro al mese per 70 anni per far fronte alle spese che la famiglia dovrà fronteggiare per tutta la vita. Ma per le due compagnie assicuratrici delle parti ricorrenti, 70 anni sono troppi.
A loro dire, come riporta il Gazzettino, la presunta aspettativa di vita della bambina, oscillerebbe rispettivamente fra i 30 e i 40 anni e fra i 10 e i 20 anni. L’Azienda sanitaria Polesana, inoltre,  avrebbe rimesso in discussione la responsabilità delle dottoresse, accertata in sede penale.
“Ma queste persone come fanno a guardarsi allo specchio?” ha dichiarato la mamma della ragazza. “Vorrei vedere loro al posto nostro davanti a medici che senza nemmeno visitare nostra figlia si permettono di dire quanto vivrà, parlando della sua morte così, solo affidandosi alle statistiche, ma non sapendo nemmeno quali sono le sue condizioni. Perché non sanno che non è attaccata a macchinari, che fa musicoterapia, che sorride, che ha un suo carattere, che si esprime, che va in piscina, che fa dei lavoretti con le maestre di sostegno, che canta con suo papà, che non ha mai avuto crisi epilettiche e che i farmaci li prende per prevenzione, che mangia autonomamente, anche se imboccata, perché le sue manine non stanno dritte. Questa è la sua vita- conclude la donna –  non l’ha scelta lei e lei non ha colpe. Le colpe sono di altri: se fosse stato fatto un cesareo sarebbe una bambina normale”.
 
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