L’accettazione di rinuncia alla querela si presume, ove non vi siano fatti indicativi di una volontà contraria del querelato, che si trovi in grado di accettare o rifiutare

“Le sole conclusioni, a verbale, rassegnate dal rappresentante dell’imputato, con la richiesta della pronuncia assolutoria con formula piena, non debbono essere intese come implicito rifiuto della remissione ma, al contrario, come tacita accettazione della stessa”

La vicenda

A seguito di rinuncia al ricorso da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 542 c.p.p, il giudice di
Pace di Bari dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato del reato di diffamazione continuata, ai danni della persona offesa
Avverso la predetta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia, il quale ne chiedeva l’annullamento per violazione di legge.
Nella specie, questi si doleva della declaratoria di non doversi procedere conseguente a remissione di querela, e dunque di rinuncia al ricorso, formulata in udienza dalla persona offesa, deducendo di non avere accettato remissione di querela, ma di avere invocato la assoluzione nel merito per l’insussistenza del fatto, instando anche per le statuizioni di cui all’art. 542 c.p.p., sicché il G.d.P. non avrebbe potuto pronunciare la sentenza di estinzione del reato, conseguente, ex lege, solo alla accettazione della rinuncia al ricorso da parte dell’imputato, tanto più che siffatta rinuncia era stata effettuata dal difensore della persona offesa, sprovvisto della procura speciale.

La pronuncia della Cassazione

La giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che la rinuncia del ricorrente al ricorso immediato presentato avanti al Giudice di Pace equivale alla remissione di querela, derivandone, caso di accettazione dell’imputato, l’estinzione del reato. (Sez. 5 n. 42427 del 05/10/2011; Sez. 4 n. 7366 del 06/02/2014).
Ebbene fatta questa premessa i giudici della Suprema Corte hanno rigettato il ricorso difensivo.
A detta degli Ermellini, essendo la remissione di querela intervenuta in udienza, alla presenza sia dell’imputato che del suo difensore di fiducia (come si rileva dal verbale), i quali erano, dunque, in condizioni di fare espressa ricusa della dichiarazione di remissione formulata in quella stessa sede dal rappresentante della persona offesa, le sole conclusioni, a verbale, rassegnate dal rappresentante dell’imputato, con la richiesta della pronuncia assolutoria con formula piena, non debbono essere intese come implicito rifiuto della remissione ma, al contrario, come tacita accettazione della stessa.

La disciplina normativa

Invero, occorre ricordare che, mentre l’art. 152 c.p., richiede che la remissione di querela processuale sia espressa, ammettendo la remissione tacita solo in sede extraprocessuale, il legislatore non riproduce tale distinguo nella disciplina della accettazione della remissione di querela.
Ai sensi dell’art. 155 c.p., comma 1, infatti, la remissione non produce effetto se il querelato l’ha “espressamente o tacitamente” ricusata, prevedendosi, nel secondo alinea, che vi è ricusa tacita quando il querelato ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione. In sostanza, ai fini dell’efficacia giuridica della remissione di querela, non è indispensabile una esplicita e formale accettazione, cioè una manifestazione positiva di volontà di accettazione, ma è sufficiente, ex art. 155 c.p., comma 1, che non vi sia una ricusazione in forma espressa o tacita.
La differente disciplina – spiegano i giudici della Cassazione- si spiega in ragione delle differenze sul piano psicologico e strutturale che caratterizzano la volontà di remissione della querela e la mancanza di ricusa della remissione, considerando che il querelato ha tutto l’interesse a vedersi dichiarare l’estinzione del reato, sicché il legislatore riconnette l’effetto estintivo anche alla sola non ravvisabilità, da parte del giudice, di comportamenti positivi sintomatici del rifiuto, ovvero dell’intenzione di vedere proseguire il giudizio a suo carico.

In realtà, se non vi è un atto di accettazione espressa, perché si producano gli effetti giuridici conseguenti alla remissione, la legge non pone come condizione che vi sia “un’accettazione tacita”.

Infatti, come è stato efficacemente osservato dalle Sezioni Unite, nonostante che la rubrica dell’art. 155 c.p., sia intitolata (impropriamente) “accettazione della remissione”, ciò che normativamente si richiede (comma 1) è che il querelato non abbia “espressamente o tacitamente” ricusato la remissione.
Il comportamento concludente preso in considerazione dall’art. 155 c.p., comma 1, non è, dunque, quello attraverso cui si renda percepibile una adesione del querelato alla remissione di querela, ma attiene a una tacita manifestazione di volontà diretta a impedirla: non un comportamento positivo di accettazione, ma uno negativo di rifiuto.
Può dirsi, allora, che l’accettazione si presume, ove non vi siano fatti indicativi di una volontà contraria del querelato, che si trovi in grado di accettare o rifiutare.

La decisione

Nella fattispecie in esame, la mera circostanza che il difensore dell’imputato, a fronte della remissione della querela, avesse chiesto la assoluzione nel merito con formula piena, non può essere considerata sintomatica della volontà implicita di ricusa della remissione, innanzitutto perché, stante la presenza in udienza della parte personalmente, questi era in condizioni di esprimere apertamente il rifiuto, chiedendo la prosecuzione del giudizio.
Correttamente, pertanto, il giudice di Pace non aveva ravvisato nel comportamento processuale dell’imputato e del suo difensore sintomi del rifiuto della remissione di querela, e aveva pronunciato la sentenza di proscioglimento, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., per rinuncia al giudizio.
Il silenzio serbato, in tale contesto, dall’imputato non può assumere il significato prospettato dal ricorrente , poiché, al contrario, l’assenza di manifesto dissenso da parte dell’imputato, ha il significato chiaro della accettazione della remissione.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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