La prescrizione di riposo assoluto non implica necessariamente l’impossibilità assoluta di raggiungere l’aula di udienza, non può pertanto considerarsi legittimo l’impedimento dell’imputato

La vicenda

L’imputata aveva prodotto all’udienza davanti al Giudice per l’udienza preliminare un certificato medico con cui si attestava che, in seguito ad un intervento chirurgico subito qualche giorno prima al piede destro per “sinovite villo modulare” ella avrebbe dovuto “seguire riposo assoluto per 21 giorni”.

Il GUP rigettò la richiesta affermando che, da una parte, si trattava di impedimento non assoluto e, dall’altra, che quello dedotto era un intervento che avrebbe potuto e dovuto essere differito in ragione della conoscenza dell’impegno processuale.

La questione è stata riproposta davanti al Tribunale ed alla Corte di appello che hanno rigettato l’eccezione.

Secondo il difensore la dicitura “riposo assoluto” implicava una immobilità forzata e, quindi, la sussistenza di un assoluto legittimo impedimento, per cui la richiesta di rinvio dell’udienza non poteva essere rigettata.

Ma il motivo non è stato accolto neppure dai giudici della Suprema Corte di Cassazione, a detta dei quali le ragioni addotte erano infondate.

La Corte di Cassazione ha chiarito come, in generale, sia legittimo il provvedimento con il quale il giudice, investito di una richiesta di rinvio per impedimento a comparire con allegato certificato medico attestante una patologia, ritenga l’insussistenza del dedotto impedimento.

La presenza del certificato non preclude, infatti, al giudice di valutare, anche indipendentemente da una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza, l’effettiva impossibilità per il soggetto portatore della dedotta patologia di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute.

«In tal senso, si è chiarito, non è preclusiva la generica necessità, in conseguenza della riscontrata patologia, di un dato periodo di riposo assoluto e di cure; la necessità di riposo è per sua natura preordinata al superamento rapido e completo dell’affezione patologica in atto ma non implica, ove essa non sia soddisfatta, l’automatica ed ineluttabile conseguenza di un danno o di un pericolo grave per la salute del soggetto, che costituisce condizione imprescindibile ai fini dell’integrazione dell’assoluta impossibilità di comparire che legittima l’impedimento»(Sez. 5, n. 44369 del 29/04/2015; Sez. 6, n. 36636 del 03/06/2014).

È stato anche affermato in giurisprudenza che, in assenza ulteriori precisazioni circa i termini contenutistici della prescrizione, l’espressione “assoluto riposo” utilizzata nel certificato, a discapito della perentorietà della aggettivazione, costituisce una sorta di formula generale, che si presta ad essere indicativa di prescrizioni anche non rigide, potendo con essa il sanitario avere prescritto al paziente semplicemente di astenersi dal fare sforzi (quali, lo svolgimento di lavori di casa pesanti o l’attività sportiva), ma non di rimanere immobile a letto.

L’impedimento che comporta la necessità di rinvio dell’udienza, a mente dell’art. 420 ter c.p.p., è solo quello “assoluto”.

E’ chiaro, dunque, che non possono assumere rilievo patologie, anche gravi e fastidiose, che tuttavia ragionevolmente consentono, senza la probabilità di sviluppi drammatici, la presenza dell’interessato in udienza, semprechè non risulti pregiudicata la possibilità di una partecipazione vigile ed attiva (Sez. 6, Sentenza n. 43885 del 05/11/2008; Sez. 6, Sentenza n. 12836 del 04/02/2005).

Di tale principi, “i giudici di merito aveva fatto corretta applicazione, atteso che dalla documentazione prodotta non emergeva l’effettiva impossibilità dell’imputata di partecipare all’udienza, poichè la prescrizione di riposo assoluto non implica necessariamente l’impossibilità assoluta di raggiungere l’aula di udienza, ben potendo la persona essere trasportata da altri”.

La redazione giuridica

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