Ancora una conferma dalla Suprema Corte di Cassazione (III sez. civ. del 20.05.2016 n° 10414) a riguardo del vizio di consenso come autonoma fonte di risarcimento per la violazione del art. 32 della Costituzione, ossia da lesione della libertà di autodeterminazione che risulta svincolato dall’inadempimento tecnico del medico (esecuzione della terapia).

Leggendo tale sentenza mi sono sorti dei dubbi in quanto, a parte il concetto espresso in premessa (che è condivisibile pienamente), nella sentenza si evidenziano dei punti “oscuri” legati verosimilmente al fatto che i fatti non sono tutti riportati. I dubbi vertono su:

1) Danno morale ricompreso nella valutazione del danno biologico espressa dal CTU;

2) Inversione eventuale dell’onere della prova;

3) Cumulabilità dei due risarcimenti (danno alla salute e danno alla libertà di autodeterminazione).

Riguardo al primo punto, da medico legale, mi sorge il dubbio come il ctu abbia personalizzato il danno tanto da ricomprendere la sofferenza nella valutazione del 18%.

Ciò non è spiegato in sentenza e né abbiamo la CTU dove leggerne la motivazione e la qualificazione del danno biologico “misto” alla sofferenza.

Non esistono tabelle di legge né baréme della R.C. che prevedono oltre alla valutazione della disfunzionalità di ciascun organo o apparato anche la sofferenza morale (fa eccezione la tabella proposta dalla SMLT già pubblicata sulle pagine di questo quotidiano), né è dato da sapere che tale valutazione è di competenza del CTU. Riterrei opportuno che lo fosse, ma ad oggi è ad appannaggio del Giudice che la deve valutare in via equitativa dopo esaustiva motivazione.

Dunque questo argomento dovrebbe essere approfondito dopo lettura della CTU di primo grado tanto da poter giustificare quanto espresso dagli Ermellini con la frase ”… dirsi ricompresi tutti i postumi di natura fisica e latamente psichica derivanti dall’inappropriato trattamento chirurgico subito”. Che significa “Latamente psichica”? Il sottoscritto non ne comprende il significato in quanto se la sofferenza non è degenerata in patologia tanto da poter essere valutata come danno biologico, come fa ad essere valutata con un immotivato aumento del punteggio dell’invalidità permanente?

Per ciò che concerne il secondo punto

La sentenza afferma come “…è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all’esecuzione di un intervento chirurgico, ancorché esso apparisse, “ex ante”, necessitato sul piano terapeutico…”.

Qui sorge il dubbio inerente all’onere della prova. Ossia, a chi tocca dimostrare l’avvenuta informazione resa al paziente? Nel rapporto contrattuale certamente spetta al convenuto medico, ma solo quando esistevano alternative terapeutiche per quella patologia e quando il rapporto rischio/beneficio è spostato a favore del primo, in quanto se nel caso discusso dagli Ermellini, si l’intervento era necessario, ma non esisteva alternativa terapeutica l’onere si inverte e ricade sul paziente che deve provare, anche presuntivamente, che non si sarebbe sottoposto all’intervento unico ed insostituibile.

Anche qui la storia non è chiara e necessiterebbe la CTU di primo grado per prendere una posizione a riguardo. Sta di fatto che l’intervento è stato imperito e dunque il risarcimento del maggior danno alla salute sarebbe stato comunque dovuto.

Sul terzo punto si è pienamente d’accordo con le conclusioni dei Giudici e l’ho sollevato solo perché una recente sentenza del tribunale di Napoli era contraria ed il sottoscritto l’ha, a suo tempo, contestata contrastando anche il parere dell’avvocato che aveva commentato quella sentenza credendola giusta ed efficace.

Dr. Carmelo Galipò
(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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2 Commenti

  1. Caro dottore,
    mi permetto, in ordine al secondo quesito che Lei cortesemente pone, di osservare che l’eventuale indicazione terapeutica non incide sull’individuazione, corretta, dell’onere della prova della corretta informazione. Se il paziente eccepisce, ritualmente, il difetto d’informazione, spetta comunque alla struttura e/o al sanitario convenuto dimostrare di aver, invece, informato diligentemente il paziente e se non riesce a soddisfare tale onere…soccombe.
    L’indicazione terapeutica, invero, non affievolisce in nessun modo l’onere di informare poiché, dinanzi ad adeguata informazione, il paziente ha diritto di negare il consenso quando, per esempio, indicazione esistenziale (come la definisco nei miei studi) ed indicazione terapeutica non coincidano (il caso dei testimoni di Geova è eclatante ma significativo).
    Ha diritto di dissentire, quindi, anche se esista indicazione terapeutica e la sua negazione ha pari dignità del suo assenso. Argomentando diversamente si da accesso ad argomenti che alludono al “diritto di curare”, che invece va negato recisamente. Nello stesso senso la 2847/2010 della terza sezione e le successive sul medesimo argomento.
    Le invio un cordiale saluto
    Avv. Nicola Todeschini

  2. Caro Avvocato,
    sono assolutamente d’accordo con quanto afferma e non vorrei mai minare tale assunto, ma io intendevo una fattispecie caratterizzata da univocità della indicazione chirurgica (non dalla correttezza della indicazione), ossia come unica soluzione possibile per ottenere una guarigione clinica. E’ vero quello che Lei afferma portando l’esempio emblematico dei testimoni di Geova, ma a tale riguardo, da esperienza trasmessami dai miei consulenti chirurghi, ben oltre il 50% dei testimoni di Geova accetta la trasfusione se informati dei rischi concreti e non evitabili.
    Premesso che ho concluso di essere d’accordissimo con le conclusioni della Suprema Corte, con quanto suddetto, in considerazione che la libertà di autodeterminazione attiene ad una scelta che si matura con piena consapevolezza dei fatti che vengono proposti dai medici, varrebbe sempre il caso di esaminare come nelle questioni in cui non esiste alternativa terapeutica se effettivamente il paziente rinuncerebbe alla terapia proposta. Per un fatto non di diritto, ma di moralità e rispetto della verità.
    La ringrazio tanto per l’interessante contraddittorio.
    Carmelo Galipò

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