Per la Cassazione il danno non patrimoniale alla sfera sessuale deve essere valutato in tutta la sua interezza come aspetto rilevante dell’espressione della personalità

Il danno non patrimoniale alla sfera sessuale deve essere riconosciuto anche ai single. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, III Sezione Civile, con la sentenza n.13770 del 31 maggio 2018, dopo aver ribadito che il danno biologico (la lesione alla salute), quello morale (la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (o anche “esistenziale” e consistete nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane nei suoi vari aspetti inclusi quelli che attengono alla sfera sessuale) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili.

Gli Ermellini hanno altresì affermato che il giudice di merito, in relazione a una visione complessiva della persona e sulla base di prove anche presuntive, deve determinare il ristoro del pregiudizio subito senza incorrere in vuoti risarcitori riferibili anche al mancato riconoscimento delle ripercussioni sulla vita privata, contrastanti con l’articolo 32 della Costituzione e con i principi affermati dagli articoli 3 e 7 della Carta di Nizza recepita dal Trattato di Lisbona e dall’art. 8 CEDU.

Nella stessa sentenza la Suprema Corte ha anche aggiunto che il danno non patrimoniale alla sfera sessuale deve essere valutato in tutta la sua interezza come aspetto rilevante dell’espressione della personalità e pertanto tutelabile come componente essenziale del diritto alla salute indipendentemente dall’esistenza di una vita di relazione attuale.

La sentenza giungeva a conclusione di un procedimento intentato dalla vittima di un incidente stradale. Questa, in seguito al sinistro, riportava, tra gli altri, la sindrome di ipogonadismo con conseguente impossibilità di realizzare una vita sessuale “normale” senza l’apporto di farmaci.

A detta del ricorrente, i Giudici d’Appello, nel quantificare il danno non patrimoniale, avrebbero integralmente omesso di valutare gli esisti della CTU in ordine al danno alla propria sfera sessuale solo perché non coniugato.

Tale censura, a giudizio degli Ermellini, risulta condivisibile. La Corte d’Appello avrebbe infatti “erroneamente disconosciuto l’esistenza di un pregiudizio apprezzabile (in ordine alle negative ricadute dell’ipogonadismo sulla sfera relazionale) in ragione della mancata dimostrazione di una attuale condizione di coniugio o di paternità, affermazione dalla quale risulterebbe che la sfera sessuale debba essere valutata solo nell’ottica della funzione procreativa e non come aspetto rilevante dell’espressione della personalità e tutelabile come componente del diritto alla salute: non sono stati affatto esaminati, in funzione della necessità di garantire un ristoro giusto e pieno del pregiudizio subito, gli aspetti della sofferenza collegati all’impossibilità di realizzare una vita sessuale senza l’apporto di farmaci, circostanza che, sulla base di prove anche presuntive, rendeva necessaria una adeguata personalizzazione, assente nella motivazione in esame”.

Dello stesso parere i Giudici Ermellini, i quali nell’accogliere le censure della parte ricorrente riguardante l’omessa considerazione delle negative ricadute dell’ipogonadismo sulla sfera relazionale hanno affermato che il ricorrente lamentava una incompleta valutazione del quadro patologico riscontrato dal CTU di primo grado e una immotivata esclusione di alcune patologie accertate. A detta perciò dei giudici della Suprema Corte, “il pregiudizio subito dal ricorrente è stato valutato dalla Corte d’Appello senza alcuna personalizzazione del danno riscontrato, sia in relazione alle singole patologie che in relazione alle complessive condizioni residuate”.

Avv. Sabrina Caporale

 

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