Dall’Università di Padova uno studio apre nuove prospettive di terapia per la sarcoglicanopatia, malattia rara ereditaria del muscolo

Individuata una potenziale strategia farmacologica per la sarcoglicanopatia, una patologia che appartiene al gruppo delle distrofie muscolari dei cingoli. Si tratta di una rara malattia genetica caratterizzata da debolezza muscolare e che interessa i muscoli del cingolo pelvico e del cingolo scapolare.

Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca dell’Università di Padova, è stato descritto recentemente sulle pagine di Human Molecular Genetics, una importante rivista scientifica.

La sarcoglicanopatia è una rara malattia ereditaria del muscolo, che spesso coinvolge anche il cuore. E’ dovuta a un difetto in uno dei quattro geni che codificano i sarcoglicani, proteine essenziali per garantire la stabilità della membrana muscolare. Le persone che vivono con questa patologia rara mostrano difficoltà ad alzare le braccia, sollevare pesi, fare le scale, alzarsi da terra. Nelle forme più gravi sono confinate sulla sedia a rotelle fin dall’adolescenza.

Nella maggior parte dei casi, a causa del difetto genetico, i sarcoglicani assumo una “forma sbagliata” che viene riconosciuta come imperfetta e rapidamente eliminata, anche se potenzialmente funzionante. La conseguenza di questa assenza è l’indebolimento della membrana ed il progressivo danneggiamento del muscolo.

I ricercatori dell’Università di Padova, studiano da anni il meccanismo patologico della sarcoglicanopatia. L’obiettivo è la ricerca di possibili terapie mirate al ripristino dei sarcoglicani a livello della membrana.

“Inizialmente – spiega la Professoressa Doriana Sandonà, ricercatrice dell’Università di Padova che ha condotto lo studio – avevamo individuato alcune molecole, già in uso in altre malattie sia tumorali che autoimmuni, che sono in grado di bloccare l’eliminazione dei sarcoglicani e riportarli in membrana anche se difettosi. In seguito abbiamo pensato che, invece di bloccare l’eliminazione delle proteine imperfette, potevamo provare a “correggerle”.

“Sapevamo per esempio che nel campo della ricerca sulla fibrosi cistica, un’altra malattia genetica molto più diffusa, erano in fase di studio alcuni composti chiamati proprio correttori del CFTR (la proteina coinvolta nella fibrosi cistica). Anche nel caso della fibrosi cistica, infatti, il difetto genetico può produrre una versione del CFTR che assume una “forma” sbagliata. Abbiamo quindi iniziato a studiare se queste molecole potevano risultare efficaci nel correggere anche i sarcoglicani”.

I risultati ottenuti dallo studio sono stati molto positivi. I correttori del CFTR, infatti, si sono dimostrati efficaci nel riportare i sarcoglicani nella membrana di cellule modello. Successivamente questi dati sono stati confermati grazie all’ausilio delle Biobanche della Fondazione Telethon, che ha finanziato lo studio. Queste hanno fornito al gruppo di ricerca le cellule (mioblasti) provenienti da un paziente affetto da sarcoglicanopatia.

I mioblasti sono cellule muscolari non completamente differenziate che, stimolate opportunamente, possono essere indotte a formare miotubi. Si tratta di cellule più mature che rappresentano lo stadio immediatamente precedente quello della fibra muscolare adulta. I miotubi esprimono i sarcoglicani, quindi è possibile studiare direttamente in queste cellule patologiche il potenziale effetto “correttivo” delle molecole studiate. “In assenza di un adeguato modello animale – prosegue  Sandonà  – questo è il modello di studio che meglio descrive la patologia umana tra quelli ad oggi disponibili”.

I risultati fin qui raggiunti sono molto incoraggianti.

Il dato più entusiasmante è certamente la riduzione della fragilità della membrana che si misura dopo trattamento con i correttori. Inoltre questi dati permettono di ipotizzare che basti correggere anche soltanto una quota delle proteine difettose per ottenere un miglioramento nella “salute” delle fibre muscolari, e quindi delle persone che vivono con questa rara patologia.

Infine, le molecole utilizzate come correttori sono di piccole dimensioni, quindi facilmente somministrabili e in grado di raggiungere agevolmente tutti i distretti muscolari. “Molto rimane ancora da fare prima che uno dei correttori identificati in questo lavoro possa trasformarsi in una terapia capace di curare le sarcoglicanopatie – conclude Sandonà – . Al contempo, riteniamo di aver compiuto un passo decisivo verso l’identificazione di una terapia farmacologica applicabile a un’ampia percentuale di pazienti che vivono con questa malattia, approccio terapeutico che peraltro potrebbe avere successo anche nell’ambito di altre malattie attualmente incurabili, accumunate con le sarcoglicanopatie da simili meccanismi patogenetici”.

 

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