Premetto che tale intervento, certamente polemico, è compiuto nell’assoluto rispetto dei medici legali e medici specialisti che ogni giorno compiono con scrupolo e serietà il proprio dovere, anche di consulenti. Rappresenta una elencazione di casi limite, sempre più ricorrenti purtroppo, che inducono a farsi delle domande e a riflettere sulla situazione assolutamente aberrante che sta investendo anche il settore delle consulenze tecniche, senza voler nessuno offendere, ma invitando tutti a fare una profonda riflessione.
Nella mia carriera di avvocato che si occupa di responsabilità medica, difendendo medici e non pazienti, mi sto accorgendo che, di pari passo alla crescita di un contenzioso sempre meno fondato su principi di diritto e sempre più fondato su pretese speculatorie, con conseguente decadimento della qualità degli atti giuridici, sta avvenendo un curioso fenomeno che riguarda quella schiera di medici, la maggior parte dei quali ormai in pensione, che costituisce buona parte della pletora dei consulenti tecnici di parte e d’ufficio.
Sempre più spesso, mi trovo dinnanzi a controparti assistite da ex medici, ex professori universitari, ex primari, ex dirigenti medici, EX.
Questi professionisti, che sovente hanno una età che non gli consente più di operare fattivamente nel campo della medicina, sono invece ritenuti dalle controparti, ed ahimè anche da qualche giudice, come i consulenti perfetti. Le loro relazioni, certamente per nulla gratuite, sempre aspre e sprezzanti nei confronti dei colleghi ancora operanti verso i quali pare esistere una specifica cattiveria, rappresentano in moltissimi casi la morte della dignità del medico che sono stati.
Per tentare di far comprendere la gravità del problema, porterò alcuni esempi di fatti realmente accaduti in vari processi al sottoscritto.
Ad esempio, in un importante processo penale in tema di ginecologia, gli illustri consulenti del PM ebbero l’ardire di sostenere che il dosaggio della Bhcg (che viene usato universalmente quale marker per identificare una gravidanza e per valutarne la fausta o infausta evoluzione) era qualcosa di assolutamente privo di fondamento scientifico, poiché ogni donna ne produce una quantità personalizzata e talmente variabile che non poteva essere considerato quale dato attendibile per valutare la situazione della gravidanza. Di più! Per sostenere tale assunto, hanno fatto riferimento (unico riferimento bibliografico dell’intera relazione) ad un passo del famoso manuale di ginecologia Pescetto in una edizione vecchia di 11 anni!
Il passo in questione è stato, inoltre, citato parzialmente, omettendo cioè, la parte nella quale lo stesso manuale snocciolava cifre e percentuali riguardanti la Bhcg che testimoniavano l’importanza dello stesso nella valutazione di una gravidanza. Inutile dire che la relazione in questione è stata letteralmente demolita durante il giudizio che ha portato alla assoluzione dei medici in questione.
Ancora, mi è capitato di leggere che in caso di fecondazione assistita, il buon senso e la buona pratica medica suggerirebbero di eseguire indistintamente in tutte le pazienti che necessitano per i più svariati problemi di una procedura di Pma, un esame specifico quale la cromo isterosalpignografia. Tale concetto, del tutto privo di fondamento scientifico, mi ha incuriosito e così in sede di operazioni peritali ne ho chiesto conferma. La risposta, data con sicurezza granitica dal consulente della controparte è stata affermativa, salvo poi fare emergere che il ginecologo in pensione in questione, mai nella sua carriera ha praticato una fecondazione assistita! Mi è venuto spontaneo chiedere se, qualora fosse stato fatto tale esame e dallo stesso fosse risultata una complicanza negativa per la paziente, le controparti non avrebbero sostenuto l’assoluta inutilità di tale esame e ci avrebbero addebitato i relativi danni conseguenti. A tale domanda è seguito un eloquente silenzio.
Sovente, poi, gli stessi consulenti con altre controparti come assistiti, affermano con la medesima certezza concetti del tutto opposti a quelli sostenuti in precedenti perizie.
A ben guardare, si può concludere che una volta andati in pensione, non vi sono più canoni da seguire, non vi è etica, né verità, non vi sono procedure (seppur mai praticate) che l’esperienza, o presunta tale, non permetta di giudicare e rigiudicare, non vi è, insomma, null’altro se non la volontà di acquisire incarichi.
Dinnanzi a tali comportamenti, ad una tale eterogeneità di opinioni provenienti dai medesimi soggetti su fatti identici, mi chiedo dove vada a finire la dignità professionale. Quella dignità che ti consente, quale che sia il compenso, di sostenere solo ciò che la scienza considera vero, solo ciò che la esperienza personale nel campo specifico ha dimostrato essere verosimile, solo ciò di cui si ha reale e diretta conoscenza professionale. Quella dignità, insomma, che in moltissimi casi suggerirebbe di declinare l’incarico.
Quindi, oggi, non vi sono solo le controparti dalle quali guardarsi, non solo pazienti e avvocati, ma anche EX colleghi.
A ben guardare, concludendo, pare che anche la dignità vada in pensione!

                                                                                                                                            Avv. Gianluca Mari

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