Non è reato la selezione degli embrioni. È reato invece, la condotta del sanitario che procede alla «soppressione di embrioni», ove pur riferita agli embrioni che, in esito a diagnosi preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica. 

Ad affermarlo la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 229/2015, depositata l’ 11 novembre scorso, ha affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lett. b), e 4, legge n. 40/2004 nella parte in cui essa contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lett. b), L. n. 194/1978 e accertate da strutture pubbliche.

La questione, avanzata dal Tribunale di Napoli, nel corso di un processo penale a carico di due medici, imputati per aver proceduto a soppressione degli embrioni soprannumerari, in quanto affetti da malattie genetiche in violazione dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, sollevava una duplice questione di legittimità costituzionale. La prima con riferimento all’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, e la seconda in relazione all’art. 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui dette norme contemplano quali ipotesi di reato, rispettivamente, la selezione eugenetica e la soppressione degli embrioni soprannumerari, «senza alcuna eccezione», non facendo, quindi, salva l’ipotesi in cui una tale condotta fosse «finalizzata all’impianto nell’utero della donna dei soli embrioni non affetti da malattie genetiche o portatori sani di malattie genetiche» e la soppressione concerna, conseguentemente, gli embrioni soprannumerari affetti, invece, da siffatte malattie.

In particolare, secondo il rimettente, l’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, della su citata legge n. 40 del 2004 – con il sanzionare penalmente anche la condotta dell’operatore medico volta a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli embrioni sani o portatori sani di malattie genetiche – violerebbe l’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza, nonché l’art. 32 Cost., per contraddizione rispetto alla finalità di tutela della salute dell’embrione di cui all’art. 1 della medesima legge n. 40. Allo stesso tempo, contrasterebbe con l’art. 117, primo comma, Cost., «in relazione – a sua volta – all’art. 8 della CEDU, come interpretato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove ha affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica (in tal senso, Corte EDU, Costa e Pavan contro Italia, sentenza del 28 agosto 2012, § 57)».

Non solo. A detta del Tribunale di Napoli, i successivi art. 14, commi 1 e 6, della legge n. 40 (1.È vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 19; 6. La violazione di uno dei divieti e degli obblighi di cui ai commi precedenti è punita con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro.),pregiudicherebbero altresì, il diritto di autodeterminazione garantito dall’art. 2 Cost.; così come allo stesso tempo,violerebbero l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza; e il richiamato art. 8 della CEDU. Ciò sul rilievo che «l’assoggettare a sanzione penale l’operatore medico che proceda alla soppressione degli embrioni soprannumerari affetti da malattie genetiche, costringerebbe di fatto, le coppie che fanno ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, e che volessero evitare il procreare un figlio affetto da malattia genetica, a subire in ogni caso l’impianto degli embrioni affetti da malattie genetiche – con evidente pregiudizio della salute dalla donna se non sotto il profilo fisico, quantomeno da un punto di vista psicologico – nonché a seguire necessariamente la strada dell’interruzione volontaria della gravidanza».

Ebbene, i Superiori Giudici delle Leggi, operate le doverose riflessioni in materia, giungevano alla sentenza quest’oggi in commento, così argomentando. Quanto al primo punto, “la stessa Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 96 del 2015, ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale dei precedenti art. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004, «nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 […], accertate da apposite strutture pubbliche. E, «ciò al fine esclusivo della previa individuazione», in funzione del successivo impianto nell’utero della donna, «di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro», alla stregua del suddetto “criterio normativo di gravità”.

Quanto basta per ritenere irragionevole oltre che contrario al principio di non contraddizione, continuare a considerare condotta in astratto penalmente rilevante quella di cui all’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, della legge n. 40 del 2004, ossia la condotta selettiva degli embrioni da parte dell’operatore medico, al solo fine di evitare il trasferimento nell’utero della donna di embrioni che, dalla diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità enunciati nell’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978, e accertate da apposite strutture pubbliche. Norma che pertanto, va incontro a declaratoria di illegittimità costituzionale.

Quanto, invece, al secondo punto, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge n. 40 del 2004 – essa, al contrario, è da ritenersi non fondata. Non è censurabile, a giudizio della Corte costituzionale, la scelta fatta dal legislatore del 2004, di vietare e sanzionare penalmente la condotta di «soppressione di embrioni», ove pur riferita agli embrioni che, in esito a diagnosi preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica. Tale circostanza, della malformazione sol per questo, non ne giustificherebbe ne altrimenti sarebbe concepibile, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani creati in «numero […] superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto», ex comma 2 del medesimo art. 14.

Sul punto, già nel 2009, la stessa Corte costituzionale nel pronunciare sentenza n. 151/2009, aveva affermato l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione. “L’embrione, infatti, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico”. Nella specie, i Giudici delle Leggi, avevano riconosciuto e dichiarato, il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.; l’avevano, al tempo stesso, però, ritenuta suscettibile di «affievolimento» (al pari della tutela del concepito: sentenza n. 27 del 1975), ma soltanto in relazione alle ipotesi di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, in termini di bilanciamento, fossero risultati prevalenti.

La fattispecie sottoposta dal Tribunale di Napoli, è tuttavia ipotesi diversa. In questo caso, -affermano i Giudici costituzionali –  “il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione (ancorché) malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione tamquam res, non trova in alcun modo giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista. E ciò conferma la non manifesta irragionevolezza della normativa incriminatrice denunciata, che pertanto non può essere dichiarata contraria a Costituzione”. Una sentenza questa che certamente farà discutere. Quali effetti lascerà in eredità nell’ordinamento italiano? E, qual è il criterio di riferimento (ammesso che ne esista uno) per ritenere prevalente il diritto della famiglia di avere un bambino sano rispetto al diritto alla dignità dell’embrione?

L’attualità e la concretezza della questione, pone numerosi interrogativi, e come è facile comprendere, non si tratta di mera questione di legittimità costituzionale, ma v’è molto di più. La verità – si è detto (F. VARI, in Considerazioni critiche a proposito della sentenza Costa et Pavan della II Sezione della Corte EDU, in AIC, 1/2013 del 01/03/2013)- è che, al di là delle affermazioni contenute nei passaggi della sentenza, la Corte EDU ha da tempo, riconosciuto l’esistenza di una sorta di diritto della famiglia, ad un figlio sano (Sul punto si v. M. LUCIANI, Diritti controversi alla Corte di Strasburgo, apparso su L’Unità del 3 settembre 012, p. 15, il quale parla di una “certa ambiguità” mantenuta dalla sentenza “sull’esistenza o meno del diritto ad avere un figlio sano»“), che nell’ordinamento italiano sarebbe garantito dalla disciplina sull’aborto, ma negato da quella sulla PMA.

Questa ricostruzione non solo, come evidenziato, non risponde all’assetto attuale dell’ordinamento italiano ma – aspetto ancor più grave – si fonda sull’idea che la vita dei malati valga meno di quella dei sani o peggio che esistano lebensunwerte Leben, e cioè vite che non vale la pena vivere. Proprio in tale prospettiva si inserisce il ricorso alla diagnosi pre-impianto. Essa, come sottolineato da Habermas, dà vita a un “controllo premeditato sulla qualità” dell’embrione, con la conseguente “strumentalizzazione di una vita umana – generata con riserva – rispetto alle preferenze e agli orientamenti di valore nutriti da terzi” J. HABERMAS, Die Zukunft der menschlichen Natur. Auf dem Weg zu einer liberalen Eugenik?, Frankfurt am Main, 2001, trad. it. Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, a cura di L. CEPPA, Torino, 2002, 33.), mettendo così a repentaglio anche la garanzia del diritto alla vita (Sul tema, F. VARI, Concepito e procreazione assistita. Profili costituzionali, I, Bari, 2008, p.125 ss.).

 Avv. Sabrina Caporale

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