Presentato il primo documento di consenso a livello europeo sulle procedure da adottare nel percorso di diagnosi della sepsi

In Europa, ogni anno si registrano 1.200.000 casi  di sepsi. Di questi 157.000 sono fatali. La corretta diagnosi della sepsi rappresenta oggi la vera ‘urgenza-emergenza in laboratorio’ e quindi l’anello debole che va identificato e corretto. Per far fronte a tale problema, un gruppo di esperti italiani ha stilato il primo documento di consenso a livello europeo sulle procedure cui vengono sottoposti i pazienti nel percorso di diagnosi dell’infezione. L’iniziativa, realizzata con il patrocinio di AMCLI, SIM, SIMPIOS e SIFO è volta all’identificazione delle corrette modalità per individuare tempestivamente la sepsi. Al contempo vuole fornire delle linee guida su come effettuare una adeguata e standardizzata formazione e informazione del personale sanitario coinvolto in questo processo.

Per Bruno Viaggi, del Dipartimento di Anestesia, NeuroAnestesia e Rianimazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze, la sepsi è ormai un’emergenza sanitaria. Secondo l’esperto, in un futuro prossimo i morti per sepsi supereranno quelli per patologia neoplastica. Si tratta – spiega Viaggi – di una disfunzione d’organo generata da una risposta disregolata dell’ospite ad una infezione. “La sepsi è una sindrome tempo-dipendente e se non trattata precocemente può evolvere rapidamente in shock settico”. Attualmente, “nonostante i progressi ottenuti in ambito diagnostico-terapeutico, mantiene una mortalità sempre molto elevata pari a circa il 50% dei casi”.

L’esame cardine nella diagnosi di questa infezione è l’emocoltura, ovvero l’isolamento e l’identificazione di eventuali microrganismi presenti nel sangue.

Il documento di consenso punta l’attenzione in particolare sulla corretta esecuzione dell’emocoltura. Esso individua i principali punti critici che riguardano fondamentalmente: la disinfezione della cute del paziente, il numero di campioni di sangue prelevati e la tempistica di consegna dei campioni ai laboratori di microbiologia. “L’emocoltura – continua Viaggi – è un esame fondamentale per individuare la presenza di germi e rappresenta il gold standard per impostare una terapia antibiotica mirata”.

L’esecuzione di questo esame, tuttavia, non sempre è eseguito in modo conforme a quanto indicato dalle linee guida. Purtroppo a volte verrebbero commessi errori anche banali durante tutto il processo della sua esecuzione. Se l’emocoltura non è eseguita correttamente, infatti, può diventare un esame del tutto inutile, vanificando tutto il percorso. “Ad esempio – sottolinea ancora il neuro rianimatore – se il campione non viene inviato in laboratorio preferibilmente entro un’ora o al massimo entro 4 ore dal prelievo, il rischio è di avere una mancata positivizzazione del campione anche in presenza di patogeni. Questo conferma quanto sia importante il fattore “tempo” nell’esecuzione di questo esame: solo una diagnosi rapida e tempestiva, infatti, può salvare la vita del paziente».

Un altro fattore importante per l’analisi microbiologica è rappresentato dalla quantità di sangue prelevato.

Una quantità di sangue ridotta diminuisce infatti la sensibilità del sistema diagnostico. Ma anche il prelievo di quantità di sangue eccessive influisce sugli equilibri di rilevazione. In entrambi i casi  non si ottengono, dunque, risultati attendibili, rendendo praticamente inutile l’emocoltura. Lo spiega Roberto Rigoli, Vicepresidente AMCLI e Direttore del Dipartimento di Patologia Clinica dell’ULSS n.2 Marca Trevigiana. “Le linee guida riportate nel documento di consenso – evidenzia Rigoli –  raccomandano che vengano riempiti almeno 4 flaconi”, In assenza di difficoltà tecniche o di altre problematiche, tuttavia, “il prelievo di 6 flaconi è da considerarsi ottimale”. Troppo spesso, invece, ci si fermerebbe al prelievo di due soli flaconi.

Anche la microbiologia, poi, ribadisce il problema della tempistica. I campioni prelevati spesso non vengono consegnati nei tempi dovuti ai laboratori di analisi microbiologica. Il rischio, in questi casi, è di ottenere dei risultati errati. La crescita di eventuali germi patogeni nel campione, infatti, si arresta per la mancanza delle adeguate condizioni colturali di crescita. “Perché l’emocoltura dia risultati attendibili, preservando la sicurezza del paziente, è necessaria – precisa Rivoli – la consegna immediata dei campioni”. Laddove i laboratori di microbiologia non siano aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, è necessario predisporre degli incubatori delocalizzati in cui lasciare i campioni appena prelevati in attesa che vengano effettuate le analisi.

Infine, altro punto non meno importante, come riportato nel documento di consenso, è la corretta disinfezione della cute del paziente e del personale sanitario.

Si tratta di un elemento fondamentale per evitare che i campioni vengano contaminati da batteri e/o funghi presenti sulla pelle del paziente o dell’operatore. “Eseguire una corretta antisepsi della cute del paziente è necessario affinché i microrganismi presenti sulla pelle non vadano ad inquinare il campione di sangue prelevato”. Lo rimarca Gaetano Privitera, Presidente SIMPIOS e Direttore, UOC Igiene ed Epidemiologia Universitaria e Coordinatore Area Funzionale Rischio Clinico, Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana.Il documento di consenso indica le modalità corrette per eseguire la disinfezione. Ad esempio ricorrendo a disinfettanti a base di clorexidina al 2% in alcool 70%.

In conclusione, il documento evidenzia che solo seguendo questo processo standardizzato è possibile mettere in campo, le strategie più adeguate per trattare tempestivamente la sepsi.  Effettuare nel modo corretto il prelievo per emocultura è fondamentale. Consente, infatti, la rapida e accurata diagnosi, permettendo così al medico di scegliere la corretta terapia antibiotica da somministrare. Un passo fondamentale per salvare la vita del paziente, ma anche per combattere l’aumento dei batteri resistenti ai farmaci, aumentati esponenzialmente negli ultimi anni.

 

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