Dopo un sinistro stradale l’eventuale errore medico nella cura della vittima non è causa autonoma ed indipendente che interrompe il nesso causale

…tra il comportamento di colui che ha causato il sinistro stradale e la successiva morte del ferito: ciò in quanto l’errore medico non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, a maggior ragione nel caso in cui l’aggravamento della situazione clinica del ferito e la necessità di interventi chirurgici complessi risultino preventivabili in ragione della gravità delle lesioni determinate dall’incidente stradale.
L’interruzione del nesso di causalità tra condotta ed evento può configurarsi solo quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo, incommensurabile e del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta.
In tal senso ha deciso la Cassazione Penale, sez. IV, con la sentenza  n. 28010 depositata il 16 maggio 2017.

Questi i fatti

La Corte territoriale di Lecce, in data 20 maggio 2016, confermava la sentenza del Tribunale di Brindisi in relazione all’imputazione di omicidio colposo con violazione delle norme sulla circolazione stradale (art. 589 c.p., comma 2) a lei contestato, per aver eseguito una manovra caratterizzata da imprudenza, negligenza imperizia, nonché per violazione dell’art. 145, comma 2, dello stesso codice.
La dinamica del sinistro stradale era la seguente: una donna aveva investito un uomo su una moto, che a seguito dell’evento riportava gravi lesioni e a distanza di due mesi dall’incidente veniva sottoposto ad intervento chirurgico e per negligenza dei medici decedeva.
L’imputata proponeva ricorso in Cassazione, denunciando violazione di legge, con particolare riferimento alla mancata esclusione del nesso di causalità fra condotta ed evento mortale. Lamentava la ricorrente il fatto che i giudici del merito non avessero ravvisato la portata interruttiva, sotto il profilo eziologico, delle condotte imperite e negligenti dei sanitari, che a oltre due mesi di distanza dall’incidente, avevano integrato una causa sopravvenuta di per sé idonea a interrompere il nesso di causalità fra la condotta addebitata all’imputata e la morte della persona offesa.

Nel caso rappresentato è escluso il nesso causale con l’incidente e, quindi la responsabilità dell’autore del sinistro stradale?

E’ questo l’interrogativo al quale gli Ermellini danno risposta negativa.
Secondo i Supremi giudici, che seguono il consolidato indirizzo in materia, l’eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito: ciò in quanto l’errore medico non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, a maggior ragione nel caso in cui l’aggravamento della situazione clinica del ferito e la necessità di interventi chirurgici complessi risultino preventivabili in ragione della gravità delle lesioni determinate dall’incidente stradale (cfr. Sez. 4, n. 41293 del 04/10/2007, Taborelli, Rv. 237838).
L’interruzione del nesso di causalità tra condotta ed evento può configurarsi solo quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo, incommensurabile e del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta (da ultimo cfr. Sez. 4, Sentenza n. 15493 del 10/03/2016, Pietramala e altri, Rv. 266786; Sez. 4, Sentenza n. 3312 del 02/12/2016, dep. 2017, Zarcone, Rv. 269001); ma ciò non può affermarsi quando, come nella specie, l’eventuale comportamento negligente di un terzo soggetto trovi la sua origine e spiegazione nella condotta colposa altrui (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 18800 del 13/04/2016, Bonanni, Rv. 267255).

Nel caso de quo, inoltre, sottolinea la Corte che la ricorrente si limita a richiamare,

quale elemento deponente per il sopravvenire di un fattore eziologico avente portata interruttiva, quanto sostenuto dall’anatomopatologo che eseguì l’autopsia, secondo il quale il fatto che venne praticata al D.L. una puntura esplorativa toracica avrebbe avuto rilevanza “primaria” nel prodursi dell’evento mortale.
Ebbene, gli Ermellini osservano che, da un lato, tanto non consentirebbe comunque di affermare che “tale condotta terapeutica si sarebbe collocata quale causa (sopravvenuta) introduttiva di un rischio eccentrico ed avulso da quello originariamente introdotto dalla condotta colposa della ricorrente, piuttosto che come (eventuale) concausa dell’evento; dall’altro, la Corte salentina ha accuratamente motivato la propria adesione, sul punto, alle conclusioni degli altri periti e dei consulenti del Pubblico ministero, i quali hanno escluso che la condotta terapeutica censurata dalla ricorrente abbia avuto rilevanza nel decorso causale che condusse alla morte del D.L.”.

Per la Corte di Cassazione parimenti infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

E’, infatti, congrua e logicamente ineccepibile, e pertanto insindacabile in sede di legittimità, la motivazione resa dalla Corte territoriale nell’accreditare la tesi, espressa da buona parte degli esperti sentiti in dibattimento, secondo la quale la causazione del decesso del D.L. ad opera della condotta alla guida della donna non risulta esclusa da fattori sopravvenuti.
In virtù di tanto la Cassazione richiama alcuni principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
In primis sottolinea come, in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d’ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, a patto che dia conto con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta, nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, nel caso in cui tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità (da ultimo cfr. Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, Sartori, Rv. 263435).

Inoltre, gli Ermellini ritengono che la sentenza impugnata,

ancor più se letta congiuntamente alla pronunzia di primo grado, trattandosi nel caso de quo di “doppia conforme”, offra “ampia ed argomentata contezza del convincimento della Corte territoriale circa la ricostruzione in fatto operata attraverso gli apporti dei consulenti, prendendo in esame le diverse ricostruzioni e valutandone criticamente il percorso argomentativo”.
Non bisogna nemmeno trascurare che, è ius receptum che, nel dibattimento del giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia può essere disposta unicamente nel caso in cui il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (vds. Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013 – dep. 06/09/2013, Bommarito, Rv. 257062: nella citata pronunzia la S.C. ha precisato che, in caso di rigetto della relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se logicamente e congruamente motivata, è incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto).

Cosa emerge dagli atti

Quello che emerge dalla lettura degli atti è secondo la Corte che, sulla scorta delle prove raccolte nel corso del giudizio di primo grado, non vi erano lacune probatorie colmabili attraverso una perizia su alcuno degli aspetti rilevanti ai fini della ricostruzione del sinistro stradale.
Da ultimo gli Ermellini ribadiscono che deve considerarsi che il principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” non può essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice di appello (ex multis vds. Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600; Sez. 5, Sentenza n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579).
In base alle su esposte argomentazioni la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso.

Avv. Maria Teresa De Luca

 
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