Per la Cassazione la navigazione web su siti di incontri va equiparata alla violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale e giustifica l’abbandono del tetto da parte del coniuge

Sorprendere il coniuge alla ricerca di altri partner su siti di incontri online è “una circostanza oggettivamente idonea a provocare l’insorgere della crisi matrimoniali all’origine della separazione”. Pertanto la condotta di chi lascia la casa dopo tale scoperta non integra l’abbandono del tetto coniugale. Lo ha sancito la Suprema Corte di Cassazione, I sezione civile, con la sentenza n. 9384/2018.

La coabitazione è uno degli obblighi che, nel nostro ordinamento giuridico, scaturiscono dal matrimonio. La violazione di tale obbligo senza una “giusta causa” è causa, ai sensi del codice civile, di addebito della separazione.

Per “giusta causa” si intende la sussistenza di determinate situazioni quali: la necessità di tutelarsi da condotte violente per la propria incolumità fisica e psichica; l’infedeltà; l’invadenza dei parenti; la mancanza di intesa sessuale; il comportamento dispotico del coniuge.

In virtù della pronuncia in questione anche la navigazione web su siti di incontri va equiparata alla violazione dell’obbligo di fedeltà.

I Giudici Ermellini si sono pronunciati sull’impugnazione di una sentenza della Corte d’Appello di Bologna del 2014. Il ricorrente, in particolare, chiedeva l’addebito della separazione alla ex moglie per violazione dell’obbligo di coabitazione.

La donna se ne era andata da casa, per l’appunto, dopo aver scoperto che il partner cercava incontri con altre persone in rete.

Tale circostanza, secondo l’ex marito, non sarebbe stata sufficiente a provare che l’allontanamento fosse dipeso esclusivamente dalla sua condotta; non c’erano state, infatti, pregresse tensioni tra i coniugi.

L’uomo, che riscuote una pensione da 3mila euro al mese, chiedeva inoltre la revoca dell’obbligo di mantenimento nei confronti della ex coniuge. Questa, una signora benestante e molto più giovane di lui, riceveva un assegno mensile di 600 euro.

La Cassazione, tuttavia, non ha ritenuto di aderire alle richieste dell’impugnante, dichiarando inammissibile il relativo ricorso. A nulla sono valse le argomentazioni in relazione alla breve durata del matrimonio e alla circostanza, ammessa dalla stessa donna, di svolgere lavori in nero. Né ha avuto rilievo per i Giudici il fatto che l’ex moglie possedesse auto di grossa cilindrata, quote di immobili, un intero palazzo e “altre potenzialità economiche a lei favorevoli”.

 

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