«Attualmente non esiste una regolamentazione specifica dedicata alla pubblicazione di dati personali riferiti a minori o da parte di minori attraverso i social network». La problematica che di recente più di tutti preoccupa è il fenomeno che vede coinvolti i genitori nel pubblicare e diffondere nei propri profili «virtuali» foto raffiguranti i propri figli.

L’uso dei servizi di social network da parte dei minori di tutto il mondo, oltre ad essere fonte di preoccupazioni e timori, è altresì, una realtà ormai consolidata. Parlando del tema della protezione dei minori sui social network, si è soliti circoscrivere le maggiori preoccupazioni all’utilizzo che gli stessi ne fanno così come ai contenuti inappropriati e/o inadeguati alla loro età ai quali, tuttavia avrebbero libero accesso. Il tema, in verità riguarda anche i minori che di questa realtà virtuale non ne fanno parte. Come? Per prima cosa i loro coetanei potrebbero parlare di loro, o pubblicizzare immagini che li ritraggono, anche senza il loro consenso. Di conseguenza altri soggetti potrebbero commentare e/o diffondere del materiale personale non pubblicato dal minore stesso e comunque contro o senza la sua espressa volontà. Si rischia così di avere un materiale pubblico, appartenente alla persona di un minore che per qualsivoglia motivo (per impossibilità, divieto dei genitori o obiezione personale) non possiede un profilo sui social network, ma trovandosi allo stesso modo, coinvolto.

La problematica che di recente più di tutti preoccupa è il fenomeno che vede coinvolti i genitori nel pubblicare e diffondere nei propri profili “virtuali” foto raffiguranti i propri figli. Il fenomeno partito dalle stelle del cinema e dai personaggi delle copertine si è esteso a macchia d’olio nella vita di tutti. Ci si chiede allora, perché così tanta gente si appassiona a queste risorse? Cosa in realtà esprimono su queste pagine? Dare una risposta a entrambe le domande ci permette di avere un’ idea più chiara di come questi nuovi mezzi di comunicazione si stiano imponendo con così tanta forza nella vita di tutti e permette al tempo stesso una più agevole comprensione della riflessione odierna nell’ottica di una maggiore tutela ai diritti dei minori. Brevemente quando parliamo di social network, intendiamo questi siti Internet che ci permettono di rimanere in contatto con altre persone, attraverso una pagina web che contiene i profili di tutte le persone che conosciamo.

Si dice anche che la creazione di un profilo su un social network rappresenti una sorta di self-presentation (Goffman, 1959): attraverso la quale, l’utente può da una parte costruire un’immagine del proprio se e dall’altra sottoporre questa immagine al giudizio e alla approvazione del suo “gruppo” (Shouten, Valkeburg e Peter, 2006). Attraverso la realizzazione di un “corpo virtuale” fatto di immagini, pensieri, parole, contatti, e brani musicali, l’utente prova a definirsi come persona, attraverso però un sistema mediato che gli dà l’impressione di avere un controllo superiore sulla propria immagine. Dunque il social network, può essere uno spazio dove liberamente esprimersi, oppure anche soltanto uno strumento per essere parte integrante di una rete sociale. Gran parte, infatti, delle comunicazioni del proprio “gruppo sociale” (sia esso professionale, lavorativo, scolastico, ludico o altro) avviene fuori dalla vita reale, ma per via mediata, ossia attraverso questi nuovi canali di comunicazione.

Caratteristica essenziale è che i social network sono degli spazi pubblici, ove tutti i dati pubblici sono potenzialmente accessibili al mondo. Essi però, si caratterizzano per ulteriori quattro elementi (Boyd):

  • Persistenza: I dibattiti e i materiali pubblicati su un social network vengono memorizzati a lungo, e possono essere disponibili anche per sempre.
  • Ricercabilità: gli strumenti di ricerca interni al social network rendono facilmente individuabile un contenuto pubblico.
  • Replicabilità: in forma più o meno diretta, tutto quello che viene pubblicato su un social network è anche copiabile e replicabile, con conseguente impossibilità di distinguere l’originale della copia.
  • Pubblici invisibili: mentre in uno spazio pubblico reale possiamo dire chi abbia assistito ad un evento, in uno spazio online non possiamo saperlo con certezza.

Ebbene ogni qualvolta pubblichiamo informazioni personali di altre persone (ad esempio quando pubblichiamo le foto degli amici sui social network, ricadiamo inevitabilmente sotto le leggi dell’Unione Europea, oltre che sotto le leggi nazionali di tutela e protezione dei dati personali, che contemplano la necessaria richiesta di consenso da parte degli utenti dei quali vogliamo pubblicare delle foto. In Italia il diritto alla privacy ha fondamenti costituzionali ravvisabili negli articoli 14, 15 e 21 della Costituzione, rispettivamente riguardanti il domicilio, la libertà e segretezza della corrispondenza e la libertà di manifestazione del pensiero. Inoltre è possibile individuarne ulteriore fondamento nell’articolo 2, configurando la riservatezza come diritto inviolabile dell’uomo. Come noto, poi, la normativa nazionale di riferimento in materia di tutela della privacy è il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, che ha introdotto l’attuale Codice in materia di protezione dei dati personali.

Ma qual è l’applicazione pratica di questi principi? Brevemente occorre indicare i diritti garantiti dal Codice, contenuti specificamente nell’art. 7. La norma copre tutto ciò che l’interessato ha il diritto di conoscere (l’esistenza, l’origine dei dati, la finalità del trattamento, l’identità di colui che lo effettua, dei soggetti ai quali i dati in questione possono essere comunicati) e tutto ciò che l’interessato ha il diritto di ottenere in relazione ai propri dati (aggiornamenti, modifiche od integrazioni dei dati trattati, la cancellazione degli stessi qualora non ne sia necessaria la conservazione per uno scopo eccedente quello per il quale il trattamento dei dati è stato effettuato). Al comma 3 dell’Art. 5, si afferma, poi che: “Il trattamento di dati personali effettuato da persone fisiche per fini esclusivamente personali è soggetto all’applicazione del presente codice solo se i dati sono destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione. Si applicano in ogni caso le disposizioni in tema di responsabilità e di sicurezza dei dati di cui agli articoli 1 e 31.”.

Se è vero, come è stato affermato che per comunicazione sistematica e diffusione debba intendersi il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati e in via automatica, si può allora certamente dire che i dati inseriti in un profilo di social network impostato come “pubblico” siano totalmente sottoponibili al Codice della privacy, mentre i dati visibili solo per essere mostrati ai contatti prescelti sono inseriti a scopo  personale. Le due esenzioni previste dall’articolo 1 e 31 segnalano comunque che questi ultimi dati non devono violare l’altrui diritto alla privacy (art. 1) e devono essere inseriti in database tecnologicamente sicuri e protetti (art. 31). I social network sono noti proprio per la loro funzione di “re-identificazione”: in base all’inserimento di dati personali identificativi, come nome e cognome, permettono di abbinare dati non identificativi, alcuni dei quali anche sensibili (convinzioni religiose, libri preferiti, vita sessuale etc.) (Gross e Acquisti, 2005). In questo caso, quindi, siamo di fronte ad un database elettronico che, spesso, raccoglie e combina dati personali, identificativi e sensibili, oltre ad altri tipi di dati.

Sul punto va ricordato che l’Art. 26 del Codice della Privacy stabilisce che “I dati sensibili possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante, nell’osservanza dei presupposti e dei limiti stabiliti dal presente codice, nonché dalla legge e dai regolamenti.” Non solo. Di nostro interesse è anche l’art. 3 il quale afferma che: “I sistemi informativi e i programmi informatici sono configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l’interessato solo in caso di necessità.” In verità, Le politiche sulla privacy, più frequentemente dette policy, vengono generalmente approvate dall’utente all’atto dell’iscrizione e sono di fatto un accordo legale tra l’utente e il fornitore di servizio. Generalmente l’accettazione da parte dell’utente avviene o con la semplice iscrizione) o con un segno di spunta ad un campo di testo molto breve, che indica l’esistenza dei termini di servizio e delle politiche sulla privacy.

Solitamente poi, i social network presentano una privacy strutturata su almeno tre livelli diversi di protezione dei dati personali, cioè:

  • il livello pubblico, rappresentato da quei dati accessibili a chiunque, anche ai non iscritti

al sito. Ad esempio Facebook suggerisce di rendere pubblici nome e cognome, per garantire la ritrovabilità del profilo per gli amici;

  • il livello intermedio, rappresentato dai dati accessibili anche agli iscritti al SNS non nostri amici;
  • il livello privato, rappresentato dai dati accessibili solo agli utenti riconosciuti come amici.

Si è detto però che questi sistemi sono pressocchè inefficaci, laddove la pubblicità del profilo è data come impostazione automatica e predefinita, e che perciò, deve essere l’utente stesso ad impostare manualmente una privacy dei propri contenuti. Il tema di cui quest’oggi si tratta è, tuttavia diverso e riguarda la protezione dei minori dai rischi connessi proprio a siffatta pubblicità. Il diritto della tutela dei minori sui social network, è un problema talmente rilevante, che intorno ad esso si sono aperti infiniti dibattiti, alcuni dei quali hanno portato alla costruzione di vere e proprie proposte di legge e codici di autoregolamentazione sia a livello nazionale che sovranazionale. Il minore rappresenta, non solo la parte probabilmente più consistente tra gli utilizzatori di questi siti, ma anche quella più maggiormente esposta ai rischi ad essa connessi.

In Italia in particolare, i rischi maggiori sono collegati alla «pedopornografia», seguito dal «grooming» e dal «cyberbullismo». È di qualche giorno fa la notizia apparsa su tutti i giornali dell’impressionante dato emerso da una ricerca della «Australia’s New Children’s Safety», l’organismo australiano che ha il compito di monitorare la sicurezza dei minori online. Dallo studio delle foto sequestrate nell’ambito delle ricerche di polizia contro la pedofilia sul web, si è riscontrato che nel 50% dei casi si tratta di milioni di immagini di bambini che svolgono le normali attività nel quotidiano come nuotare, fare sport e simili. Foto pubblicate, nella maggior parte dei casi dai propri stessi genitori.

Si capisce bene, dunque, che un uso non oculato e poco attento da parte dei genitori di questi nuovi strumenti di comunicazione rischia di compromettere irrimediabilmente la tutela della privacy dei propri figli, oltre che esporli a tutti i pericoli ad esso connessi, quali i furti d’identità e la vendita dei dati da parte di terzi e, l’utilizzo per scopi pedopornografici ad opera di pedofili e malintenzionati. Ebbene, il rischio di un utilizzo distorto e perverso di siffatto materiale ad opera della pedofilia è elevatissimo anche in Italia, seppure i numeri siano assai meno allarmanti rispetto al resto dei Paesi Occidentali dove, il fenomeno è molto più diffuso. In Italia la protezione della privacy nel caso specifico del minore fa riferimento alla Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo, che impone a tutti i soggetti pubblici e privati, così come alle famiglie, di collaborare per predisporre le condizioni perché i minori possano vivere una vita autonoma nella società, nello spirito di pace, dignità, tolleranza, libertà, uguaglianza, solidarietà, e che fa divieto di sottoporlo a interferenze arbitrarie o illegali nella sua privacy. L’art. 16 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia ci ricorda che “Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”.

Attualmente, tuttavia, non esiste una regolamentazione specifica dedicata alla pubblicazione di dati personali riferiti a minori, o da parte di minori, attraverso strumenti elettronici come gli SNS. Sicuramente, in quanto persone, i minori sono titolari degli stessi diritti e i doveri definiti nel Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Quali sono dunque le tutele per i minori? E come deve essere giudicata l’efficacia dell’approccio fin qui seguito dai governi? In verità ci si rende conto di esser di fronte ad una realtà estremamente multiforme e variegata, oltreché in costante evoluzione; si è allo stesso tempo consapevoli che porre aprioristicamente delle limitazioni o divieti governativi alla libera pubblicazione e/o condivisione di materiale online, oltre a non essere consentito per evidenti ragioni di libertà costituzionali, è altresì non tecnicamente possibile.

Quello che piuttosto si chiede, è una presa di coscienza che parta dagli stessi produttori dei siti di social network affinché rafforzino i sistemi di controllo e monitoraggio rispetto a possibili contenuti “delicati”, ai limiti di età etc. E una presa di coscienza che provenga anche dai genitori perché non espongano irresponsabilmente, i propri figli a siffatto genere di pericoli. Come incentivare tutto ciò? Una strada percorribile c’è: promuovere la diffusione di un’etica sull’utilizzo di queste nuove piattaforme di comunicazione sociale, rafforzare e attivare campagne di sensibilizzazione rivolte a genitori, insegnanti, giovani e ogni altra categoria di utenti, al fine di rendere consapevoli tutti circa i pericoli che si annidano dietro lo “schermo”della rete virtuale.

Avv. Sabrina Caporale

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