Permane l’equivoco interpretativo medico-giuridico sulla sofferenza lesione/menomazione correlata: il parere dell’Osservatorio del Tribunale di Milano

È pervenuta allo scrivente un recente “report” del gruppo di studio sul danno alla Persona del Tribunale di Milano che conferma la mancanza di un serio dialogo interdisciplinare tra medicolegale e giurista in tema di definizione “base” del concetto di “ sofferenza intima o intrinseca”, connessa ad ogni specifico evento lesivo e menomativo.

Come più volte ribadito nel Contesto tecnico specialistico medicolegale Nazionale ,suffragato da consistente esperienza casistica ed ora oggetto di prossima condivisione anche in seno alla Società Italiana di Medicina Legale e Delle Assicurazioni, è ormai conoscenza comune ed elementare per qualsiasi specialista medicolegale che gli attuali parametri di definizione del danno biologico, ancorati alla sola componente di “disfunzionalità” anatomica o psichica, non consentono di definire (e quindi di accertare in sé) quale sia la correlata componete di sofferenza “intima o intrinseca”, che è sempre presente nella sostanza del “danno biologico non patrimoniale” trattandosi dunque di una generica componente “base” del danno alla persona, definibile in sede medicolegale, sempre presente, in quanto riferibile agli aspetti qualitativi della lesione e/o della menomazione e svincolati da qualsiasi ulteriore riferimento ad allegazioni “personali dello specifico danneggiato”.

Presupposti medicolegali che determinano una duplice sostanziale contrapposizione interpretativa medico-giuridica.

  • La palese incongruità tecnica del concetto di “sofferenza intima media” IP correlata, posto che i parametri “quantitativi” della invalidità permanente biologica non possono essere utilizzati per valutare gli aspetti “qualitativi” (cioè la correlata sofferenza) del danno alla persona: aspetti anch’essi suscettibili di autonoma definizione medicolegale.

Indicazioni che – su delibera del Consiglio Direttivo, presieduto dal Presidente Prof. Riccardo Zoia – verranno a breve definitivamente condivisi nel contesto della Società Italiana di Medicina Legale

Al riguardo va necessariamente fatto osservare che la predetta “criticità” interpretativa tecnica connessa al presupposto tabellare di una liquidazione automatica della “sofferenza intima media IP correlata” potrebbe determinare oggettive ripercussioni sperequative della componente risarcitoria “base” del danno non patrimoniale.

Potrebbe apparire poco chiaro al Comune Cittadino danneggiato il perché una IP biologica del 9,5% possa prevedere una quota automatica di sofferenza media rispetto ad una quota di IP del 9%.

Ancor più incomprensibile il motivo per il quale una IP biologica del 10%, costituita dal complesso di componenti micro menomative, possa prevedere una automatica componente “correlata” di sofferenza intima media, mentre una IP del 9%, afferente ad un’unica condizione menomativa, invece no.

Per non parlare dell’assurdità sperequativa relativa all’applicazione di differenti parametri liquidativi dell’inabilità temporanea biologica (sia per quanto riguarda la componente disfunzionale, sia per quanto riguarda la coesistente componente di sofferenza correlata) rapportati esclusivamente ed in modo “avulso” da qualsiasi realtà al limite di definizione del grado di invalidità permanente (superiore o inferiore al 9%).

  • Il presupposto Giuridico per cui nell’ambito delle lesioni di lieve entità la “sofferenza” sia ricompresa nel danno biologico (sentenza Consulta n235/2014), impone – per i motivi tecnici precedentemente esposti – una necessaria revisione del Barème del DM 3/7/2003 (revisione peraltro ammessa dallo stessa Normativa).

Per completezza si deve infine necessariamente considerare che ogni eventuale componente di “personalizzazione” del danno non patrimoniale, proprio perché si tratta di componenti di danno attinenti ai peculiari aspetti dinamici e/o relazionali del singolo danneggiato, non sono di per sé accertabili dal medicolegale, ma devono trovare giusto equilibrio “probatorio” tra “rilevanza giuridica dell’allegazione e successiva verifica di compatibilità medicolegale”.

Riteniamo oggettivamente improponibile che il giudizio di compatibilità possa essere demandato – secondo l’ipotesi prospettata dall’Osservatorio del Tribunale di Milano ad un professionista Psicologo Forense, comunque privo di conoscenze scientifiche e tecniche idonee a verificare la veridicità o meno di una specifica allegazione conseguente ad un “determinato evento traumatico lesivo e/o ad una accertata conseguenza menomativa”, col rischio di pervenire al riconoscimento di  quote di risarcimento, connesse a possibili “simulazioni soggettive” – pur anche inconsce , contrastanti o avulse dalla realtà clinica inabilitante e/o invalidante del danneggiato.

L’intervento dello Psicologo potrà, al contrario avere una certa importanza e rilevanza per la valutazione di quelle componenti di esclusivo disagio esistenziale che coinvolgono, indirettamente, soggetti conviventi o comunque connessi all’ambito familiare e relazionale del “grande invalido” ovvero nei casi di diversificazione del “danno parentale”, o per i casi di autonoma “sofferenza esistenziale” che non afferiscono a lesione del bene “salute” ma che derivano da lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati (ad esempio la dignità della persona).

Lo Psicologo clinico potrà infine collaborare proficuamente con il medicolegale ad una migliore definizione della “sofferenza”, nei casi in cui questa – una volta accertata in sede medico legale la reale entità lesiva o menomativa – sia caratterizzata da una esclusiva interferenza della lesione o della menomazione sul “sentire del danneggiato” (vedi ad esempio il danno estetico) o nei casi in cui sia difficile acquisire elementi diagnostici psicologici, come nel caso di danno al minore.

 

Dott. Enrico Pedoja

Medico Legale

 

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