Per recuperare i costi delle prestazioni rese in favore del danneggiato, il SSN può agire per responsabilità ex 2043, versus l’autore dell’illecito

In caso di cure mediche e prestazioni sanitarie rese dal SSN in favore del danneggiato da fatto illecito altrui, all’Ente non compete l’azione di rivalsa prevista dall’art. 1916 c.c., né l’azione surrogatoria di cui all’art. 1203 c.c., n. 3, difettando in entrambi i casi i presupposti di legge, ma soltanto l’azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’autore del fatto illecito.
Questo è il principio affermato dalla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24289 depositata il 16 ottobre 2017.
La pronuncia chiarisce come dopo l’entrata in vigore della Legge n. 833 del 1978 il Servizio Sanitario Nazionale fosse considerato alla stregua di una assicurazione sociale a contribuzione obbligatoria, mentre questo presupposto è venuto meno in virtù di quanto disposto dall’art. 36 del D. Lgs. n. 446 del 1997, con il quale è stato abrogato il sistema contributivo di finanziamento del Ssn in favore della fiscalizzazione del finanziamento del Servizio Sanitario stesso.

Questi i fatti.

L’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento ha ingiunto, ai sensi del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, a C.G. il pagamento dell’importo di €. 33.522,49 a titolo di rivalsa dei costi delle le cure mediche prestate a tale A.M., a seguito di un incidente sul lavoro imputabile all’ingiunto.
Il Tribunale di Trento, accogliendo l’opposizione proposta dal C., ha annullato il decreto ingiuntivo e la Corte territoriale, adita dall’Ente, ha riformato la decisione di prime cure, rigettando l’opposizione del C..

L’ammissibilità dell’azione di rivalsa.

Una prima questione, risolta in termini affermativi nella sentenza impugnata, è se sia ammissibile l’esercizio, da parte dell’Azienda sanitaria, dell’azione di rivalsa ai sensi dell’art. 1916 c.c., nei confronti degli autori degli illeciti che hanno cagionato la necessità di prestazioni mediche nei confronti degli assicurati con il Servizio Sanitario Nazionale.
Bisogna preliminarmente chiarire il rapporto intercorrente fra il Servizio Sanitario Nazionale e i cittadini in termini di assicurazione sociale o di mera prestazione assistenziale.
Gli Ermellini osservano che la tesi che qualifica il SSN come assicurazione sociale è stata affermata in più occasioni dalle Sezioni unite (cfr. Sez. U, Sentenza n. 7267 del 13/07/1990, Rv. 468235; Sez. U, Sentenza n. 6480 del 29/11/1988, Rv. 460800).
Tuttavia, con la riforma del 1978, che ha affermato il principio di gratuità delle prestazioni sanitarie rese dal SSN, si era fortemente ridimensionato l’ambito operativo del diritto di rivalsa L. n. 1580 del 1931, ex art. 1, ristretto esclusivamente a quelle ipotesi, indubbiamente residuali, in cui la gratuità non sussistesse.
Inoltre, la L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 8, comma 3, rinviava all’adozione di un regolamento ministeriale la disciplina organica del rimborso delle prestazioni erogate a favore dei cittadini a causa di incidenti stradali o di infortuni sul lavoro o malattie professionali.
Questo quadro normativo è radicalmente mutato con il D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 36, che ha abrogato il sistema contributivo di finanziamento del SSN.
Per effetto di tale riforma si è avuta la c.d. “fiscalizzazione” del finanziamento del Servizio Sanitario, attuata mediante la sostituzione dei menzionati contributi sociali di malattia con entrate di natura fiscale.
Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte è univoca, nel senso che ritiene che “al contributo dovuto al Servizio Sanitario Nazionale deve essere riconosciuta natura tributaria, desumibile dall’imposizione di un sacrificio economico attraverso un atto autoritativo ablatorio e dalla destinazione del relativo gettito alla copertura di spese pubbliche, nonchè dalla sua riconducibilità, quale sovraimposta IRPEF, alle imposte sui redditi. Infatti si tratta di una imposta che non trova giustificazione in un rapporto sinallagmatico tra la prestazione e il beneficio ricevuto dal singolo, sussistendo tale imposizione anche se l’interessato, che pure ha il potenziale diritto a ottenere l’assistenza sanitaria, non vi ricorre” (cfr. Sez. U, Sentenza n. 2871 del 06/02/2009, Rv. 606586; Sez. U, Ordinanza n. 123 del 09/01/2007, Rv. 600673).
Bisogna sottolineare che pur trattandosi di pronunce rese, in sede di riparto di giurisdizione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 20006 del 22/09/2010, Rv. 615283; Sez. 5, Sentenza n. 23800 del 22/12/2004, Rv. 578676), dalle stesse è possibile trarre l’univoco principio che il finanziamento del SSN non si basa più su un criterio di natura previdenziale, bensì fiscale.
La natura tributaria del contributo per le prestazioni del servizio sanitario nazionale è stata infine espressamente affermata dalla L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2, (legge finanziaria 2002), sostitutivo del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, (disposizioni sul processo tributario).

Ma il diritto di rivalsa può estendersi e applicarsi alle Aziende sanitarie?

La risposta affermativa formulata dalla Corte d’appello si fonda sul regime di “assicurazione obbligatoria” tuttora previsto dalla L. n. 833 del 1978, art. 63 e di tale norma si è occupata, pur se sotto il diverso profilo dell’ammissibilità di un quesito referendario abrogativo, anche la Consulta, con la sentenza n. 43 del 2000. In proposito il Giudice delle leggi ha osservato che “non si è più, in presenza di un rapporto assicurativo, sia pure obbligatorio, né di prestazioni sanitarie dovute in ragione, se non in corrispettivo, di un contributo. Il sistema complessivo delineato dalla L. n. 833 del 1978, sul quale non incide il quesito referendario, caratterizzato dalla universalità dell’assistenza, garantita dal Servizio sanitario nazionale a tutti i cittadini, il cui diritto deriva direttamente dalla legge, mentre l’iscrizione negli elenchi degli utenti (prevista dall’art. 19 della stessa legge) costituisce solo un adempimento amministrativo per l’organizzazione delle prestazioni (sentenza n. 39 del 1997). In definitiva all’eventuale soppressione della L. n. 833 del 1978, art. 63, comma 2, non conseguirebbe l’effetto abrogativo prefigurato, che si vorrebbe far consistere nella possibilità di uscire dal Servizio sanitario nazionale scegliendo una assicurazione privata”.
Da tanto consegue che non ricorrono i presupposti per l’applicazione diretta dell’art. 1916 c.c..
Ed è possibile (ri)qualificare l’azione di rivalsa dell’Azienda sanitaria come azione surrogatoria, ai sensi dell’art. 1203 c.c., n. 3?
Tale soluzione non appare praticabile secondo gli Ermellini, in quanto non è possibile individuare l’oggetto della surrogazione: infatti, il danneggiato che ha ricevuto cure gratuite non ha titolo per chiederne il rimborso al danneggiante e per tale motivo, non esiste un diritto in cui il SSN si possa surrogare.

La rivalsa ex art. 1916 c.c., può considerarsi una successione a titolo particolare dell’assicuratore nella posizione creditoria dell’assicurato nei confronti del responsabile del danno?

L’infortunato, non avendo corrisposto alcunché a corrispettivo delle spese mediche ricevute, non potrebbe pretendere nulla nei confronti del responsabile civile; ed infatti, non esistendo un credito cui surrogarsi, non potrebbe in alcun modo azionarsi una surroga.
Se, da un lato, è vero che all’ Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari non spetta l’azione di rivalsa ex art. 1916 c.c., né simili, dall’altro lato va rilevato come la domanda risarcitoria formulata ai sensi dell’art. 2043 c.c., sia invece astrattamente fondata.
Infatti, l’autore di un fatto illecito da cui sia derivato a terzi un danno alla salute, ha l’obbligo di risarcire tutte le conseguenze dirette del fatto, compresa la rifusione del costo delle eventuali cure mediche e dell’assistenza sanitaria (cfr. ex plurimis: Sez. 3, Sentenza n. 10616 del 26/06/2012, Rv. 624916; Sez. 3, Sentenza n. 712 del 19/01/2010, Rv. 611107; Sez. 3, Sentenza n. 5504 del 08/04/2003, Rv. 561970).
Il SSN è un sistema costituzionalizzato di tutela della salute collettiva, che assicura a qualsiasi infortunato le necessarie cure mediche e l’assistenza sanitaria, nel caso in cui quest’ultimo non ricorra a prestazioni sanitarie erogate in regime privatistico.
Da ciò discende che nell’alveo conseguenze dirette, e pertanto, risarcibili del fatto illecito rientrano anche le prestazioni sanitarie eventualmente erogate dal SSN al danneggiato e il loro relativo costo, trattandosi di un danno prevedibile (art. 1225 c.c.), poiché il danneggiante non può non sapere che il danneggiato sarà curato dal SSN, essendo quest’ultimo un sistema generalizzato di tutela della salute di qualsiasi infortunato.
Quindi, non assume alcun rilievo la circostanza che il SSN eroghi le cure in regime di gratuità, poiché anche se l’infortunato non sostiene alcun esborso, ciò non toglie né che le prestazioni medico-sanitarie rese abbiano un costo oggettivo, né che di tale costo possa essere chiamato a rispondere, secondo la clausola generale della responsabilità aquiliana, il danneggiante.
Infatti, la gratuità delle prestazioni viene assicurata a chi ne ha bisogno e non anche a chi, con la propria condotta illecita, abbia determinato la lesione alla salute di terzi che necessitano dell’intervento del SSN.
La conseguenza è che i costi dell’assistenza medica e delle prestazioni sanitarie eventualmente erogate dal SSN al danneggiato devono essere risarcite dall’autore del fatto illecito, quali conseguenze dirette e prevedibili, al pari di come lo sarebbero le spese sostenute dal danneggiato per ricevere le cure necessarie in regime privatistico, né rileva il fatto che il danneggiato si sia rivolto, per ottenere la necessaria assistenza medico-sanitaria, a strutture private pubbliche.
L’erogazione gratuita delle prestazioni medico-sanitarie in favore dell’infortunato, del malato o del ferito, infatti, non comporta l’irresponsabilità del danneggiante.
Gli Ermellini affermano che, in relazione alle prestazioni medico-sanitarie erogate gratuitamente dal SSN, si possono distinguere quattro ipotesi:
– malattia danno alla salute non addebitabile a colpa o dolo di terzi: al SSN non è consentita alcuna rivalsa nei confronti del degente o di altri;
– danno da circolazione stradale e dei natanti: la legge esclude espressamente l’azione di rivalsa, poiché i costi delle prestazioni erogate a tale titolo vengono finanziati mediante un prelievo sulle polizze assicurative; in tali ipotesi al SSN non è consentita neppure l’azione extracontrattuale di risarcimento dei danni, in quanto si tratta di prestazioni già compensate mediante un contributo sostitutivo sui premi delle assicurazioni obbligatorie per la responsabilità civile;
– infortuni sul lavoro e malattie professionali: dal 10 gennaio 2001 il caso non è più regolato dalla legge, poiché la L. n. 449 del 1997, art. 38, (che, a sua volta, rinviava ad un decreto ministeriale per la regolamentazione del settore) è stato abrogato e sostituito da previsioni analoghe, ma valevoli solo per il danno da circolazione stradale e dei natanti;
– danno derivante da altre ipotesi di fatto illecito: le cure sono gratuite nel rapporto SSN-degente, ma il primo, che subisce una perdita patrimoniale a causa del fatto illecito di un terzo, ha diritto ad essere risarcito da quest’ultimo ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Si può agire per responsabilità extracontrattuale?

Si deve sottolineare che per recuperare i costi delle prestazioni rese in favore del danneggiato, il SSN può agire per responsabilità extracontrattuale, nei confronti dell’autore del fatto illecito, a ciò non ostando la gratuità delle prestazioni medesime, poiché tale gratuità opera solo nei rapporti fra SSN e degente, ma non esclude la responsabilità aquiliana del danneggiante per i costi effettivamente sostenuti dal SSN, a causa della sua condotta illecita.
Il SSN non ha titolo ad agire in sede extracontrattuale nei confronti del responsabile per recuperare i costi delle prestazioni sanitarie rese in favore della vittima di un sinistro derivante dalla circolazione stradale o di natanti, “in quanto tali prestazioni sono già compensate ex lege mediante il contributo sui premi delle assicurazioni per la responsabilità civile previsto dal D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 334, (Codice delle assicurazioni private), espressamente indicato dalla legge come sostitutivo delle azioni spettanti alle Regioni e agli altri enti che erogano prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale”.
La Corte di Cassazione pertanto ha cassato la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti  e ha rinviato il tutto  alla Corte d’appello  in diversa composizione.
 
 

Avv. Maria Teresa De Luca

 
 
 
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