È stata cassata la sentenza della CTR delle Lombardia che aveva accolto il ricorso di un contribuente contro l’accertamento induttivo basato sulla sua quota di partecipazione allo studio associato

La vicenda giudiziaria origina dal ricorso presentato da un contribuente contro l’avviso di accertamento per IVA, IRAP e IRPEF relativi all’anno 2002 che, con metodo analitico-induttivo aveva accertato i maggiori ricavi conseguiti dallo studio commerciale associato. Il fisco aveva, perciò, preteso e ripreso a tassazione dal contribuente il maggior reddito da lavoro autonomo prodotto in ragione della propria quota di partecipazione a detto studio professionale.
In primo grado i giudici tributari hanno accolto le ragioni del contribuente con sentenza confermata anche in appello.
Cosicché su proposta dell’Agenzia delle Entrate la causa fu portata davanti ai giudici della Cassazione.
Con un primo motivo l’agenzia fiscale lamentava l’errore commesso dai giudici di merito per non aver preso in esame gli elementi posti a fondamento dell’accertamento presuntivo in ordine alla sussistenza di maggior reddito prodotto, rispetto a quello dichiarato o, comunque, per non aver effettuato una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari esistenti.

E il motivo è stato accolto.

«La valutazione della prova presuntiva- affermano i giudici della Cassazione – esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, così da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile del fatto da provare».(Sez. VI n. 13004/2018 e Sez. III n. 5787/2014).
Ebbene nella fattispecie in esame, era innegabile che il giudice di merito avesse preso in considerazione soltanto due dei cinque elementi indiziari, vale a dire la commistione tra le attività prestate dai tre diversi soggetti d’imposta (studio associato, commercialista e ragioniere), limitandosi a negare al primo qualsivoglia rilevanza indiziaria e, quanto al secondo, escludendone detto rilievo in ragione del fatto che sarebbero stati stipulati per parcelle professionali accordi, peraltro, non specificamente individuati, che determinavano compensi forfettari in misura inferiore ai minimi tariffari secondo quanto consentito dalla tariffa professionale.
Così facendo aveva compromesso, sul piano logico, l’intero ragionamento inferenziale, essendo mancato sia l’esame singolo di ciascun elemento indiziario addotto dall’agenzia delle entrate, onde verificare se ciascuno di essi potesse effettivamente acquisire in sé rilievo indiziario, sia il momento di valutazione complessiva di detti elementi, onde accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi.
E per tali ragioni il ricorso è stato accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla CTR per un nuovo esame.

La redazione giuridica

 
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