Effetti negativi sul cuore per via del terremoto. Lo stress acuto può essere dannoso anche alle persone che non hanno problemi coronarici.

Il rischio di sviluppare patologie correlate rimane anche per diversi mesi aumentando fino al 15%. È necessario dunque intervenire tempestivamente con un sostegno psicologico chi ha vissuto un’esperienza traumatica e drammatica come questa. A lanciare l’appello sono stati i cardiologi che hanno presentato il Congresso dell’Europaen Society (Esc 2016) al via da domani fino al 31 agosto a Roma.

Si chiama sindrome di taki-tsubo (cardiomiopatia da stress) e determina una sorta di necrosi nella parte apicale del cuore. Il presidente della Società italiana di cardiologia (Sic) Francesco Romeo spiega infatti che “una situazione fortemente e intensamente stressante può colpire una persona senza patologie”. La taki-tsubo modifica la forma del ventricolo cardiaco “in una specie di cestello (tsubo) usato dai pescatori giapponesi per la pesca del polpo (tako). Ma i rischi aumentano anche nei mesi successivi all’evento drammatico, come è stato studiato anche nel caso dell’attentato delle Torri gemelle. L’elaborazione del lutto, lo stress che permane se non vengono risolte le condizioni sociali causate dall’evento – precisa il dottore – sono condizioni negative per la salute cardiaca”.

L’aspetto psicologico delle persone che hanno vissuto questa esperienza è dunque determinante e da non sottovalutare. Percorsi di recupero che evitino il presentarsi di stress cronico il quale come abbiamo visto incide negativamente sul benessere del cuore. “La correlazione con sintomi psichici come ansia, depressione e disturbi post-traumatici, attacchi di panico, insonnia, cefalea è intuitiva”, evidenzia Leonardo Bolognese, direttore di Cardiologia all’ospedale di Arezzo: “Uno studio della Cornell University ha evidenziato alterazioni delle aree cerebrali deputate alla paura nelle vittime rispetto ai soggetti non esposti”.

Il direttore della Cardiologia dell’ospedale Garibaldi di Catania Michele Gulizia avverte infatti che si tratta di “un meccanismo complesso a cui si deve rispondere con una politica di assistenza psicologico-sociale alle popolazioni colpite dal sisma per non rischiare tra 5-10 anni di assistere a un picco epidemiologico che potrebbe interessare il 15% della popolazione, anche persone altrimenti sane”.

Se dunque il sistema d’allarme dell’organismo, attivato dall’evento traumatico, rimane sempre acceso la prima conseguenza è la secrezione di alcuni ormoni (adrenalina, noradrenalina e glucocorticoidi) e l’aumento della pressione sanguigna e del battito cardiaco. La prosecuzione continuata di questo stato produce un affaticamento del cuore e dei vasi sanguini i quali si andranno a inspessire per porre resistenza al flusso ad alta velocità del sangue. Il cuore si stanca determinando un ispessimento delle pareti del ventricolo sinistro (uno dei più comuni e importante marker clinici).

“Da non sottovalutare – aggiunge Gulizia – anche l’esposizione acuta e per molte settimane a polveri e particelle ultrafini, macerie, amianto, diossina, metalli pesanti come piombo e residui di lampadine e strumenti elettrici, che possono causare problemi respiratori, tosse, secchezza delle mucose. Fenomeni che, a seconda dell’ampiezza delle aree interessate da crolli, possono essere sovrapponibili a quella che fu chiamata la sindrome di Ground Zero: interessò centinaia di abitanti e soccorritori esposti alle macerie e ai fumi che, venne calcolato, contenevano detriti in cui erano presenti oltre 2.500 contaminanti tossici. Colpirono occhi e apparato respiratorio in primis, ma anni dopo furono collegati anche ad alcuni casi di tumore, nei soggetti esposti alle fasi di pulitura delle macerie nei mesi successivi”.

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