Il Dicastero dovrà versare oltre 1 milione di euro ai parenti di una donna morta a quasi 30 anni di distanza da alcune trasfusioni di sangue infetto

Un milione e 50mila euro. E’ la cifra che il Ministero della Salute dovrà versare ai familiari di una donna deceduta nel 2011. La signora è morta per un tumore al fegato e una cirrosi epatica da epatite C all’età di 67 anni.  A causare l’insorgere della malattia, secondo quanto accertato dal Tribunale di Roma,  sarebbero state le trasfusioni di sangue infetto effettuate durante i cinque giorni di ricovero trascorsi nel 1983 presso l’ospedale civile di Caserta.

Secondo il Giudice capitolino, nello specifico, il Ministero avrebbe “omesso, o comunque ritardato, l’adozione di cautele già conosciute alla scienza medica”.  Tali attenzioni avrebbero “evitato o quantomeno ridotto sensibilmente il rischio di contagio anche per il virus HCV, che ancora non era stato esattamente identificato”. Il Dicastero di Lungotevere Ripa, inoltre, avrebbe tenuto “un comportamento non diligente nei controlli” sulla sacca del sangue infuso all’allora 39enne.

Il virus dell’epatite C sarebbe poi rimasto silente per molti anni, provocando tuttavia notevoli danni al fegato della donna. Questa non aveva avvertito nessun sintomo fino a 5 anni prima del decesso. La sua morte si innesta nel periodo dello “scandalo del sangue infetto” a cavallo tra gli anni 80 e 90.

La sentenza del Tribunale di Roma arriva nelle stesse ore in cui la Corte di Cassazione, ha confermato la condanna dell’assessorato regionale alla Salute della Regione Sicilia a versare un risarcimento pari a circa 1 milione e 800mila euro a un uomo affetto da tumore al fegato.

Anche in questo caso la patologia è insorta dopo che il ragazzo, nel 1996, all’età di appena 7 anni, era stato sottoposto a una trasfusione a Palermo. Anche lui aveva contratto il virus dell’epatite C e dopo dieci anni aveva scoperto il cancro.

 

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