Da più parti definita come una pronuncia storica, quella sulla trattativa Stato-mafia è una sentenza destinata a segnare uno spartiacque importante 

È una sentenza definita “storica”, ma anche “politica”, quella pronunciata dalla Seconda Sezione della Corte di Assise di Palermo, il 20 aprile 2018, che ha definito il processo per la c.d. Trattativa Stato-Mafia, durato ben 5 anni, in cui si sono svolte circa 220 udienze e c’è stato l’ascolto di oltre 200 testimoni.

I giudici sono entrati in camera di consiglio il 16 aprile e hanno emesso il verdetto il 20 aprile nell’aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, dopo una settimana di Camera di Consiglio.

In poco più di sette minuti il Presidente della Corte d’Assisse, dott. Alfredo Montalto, leggendo il dispositivo della sentenza ha ribadito che la Trattativa tra Cosa Nostra e organi dello Stato c’è stata e ad averla condotta sono stati i boss mafiosi, Ufficiali del Ros dei Carabinieri e il fondatore di Forza Italia.

Il processo di primo grado si è concluso con le condanne per gli ex vertici del Ros (Mori e Subranni a 12 anni, De Donno a 8), per Dell’Utri (12 anni), per Massimo Ciancimino (8 anni) e per i boss Bagarella (28 anni) e Cinà (12 anni). Assolto l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino: il fatto non sussiste.

Ma cos’è la ” trattativa Stato-mafia”?

Fu una negoziazione tra importanti vertici dello Stato e rappresentanti di Cosa nostra finalizzata a fare cessare gli attentati e le stragi degli anni 1992-1993. Il suo obiettivo era quello di indurre lo Stato a piegarsi alle richieste di Cosa nostra, ponendo fine alla “stagione stragista” in cambio di un’attenuazione delle misure detentive previste dall’articolo 41 bis.

Il pool di giudici di Palermo, guidato da Giovanni Falcone, aveva condannato ad anni di carcere duro centinaia di mafiosi, proprio applicando l’art. 41 bis.

La trattativa sarebbe consistita in due fasi distinte, prima e dopo le stragi che hanno ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

La prima, va dal 1985 al 1992, che coincidono con gli anni in cui si svolgono le indagini del pool antimafia e il maxi processo e la seconda, negli anni ’93-’94 con l’insediamento del Governo Ciampi, che vide confermati Giovanni Conso alla Giustizia e Nicola Mancino allʼInterno. E fu proprio allora che venne revocata la legge 41 bis che prevede il “carcere duro” per la criminalità organizzata.

La decisione ripercorre la storia della Prima Repubblica e l’inizio della Seconda.

Il sostituto procuratore della Repubblica, dott. Nino Di Matteo, unico titolare dell’inchiesta, ha commentato che “Dell’Utri ha fatto da cinghia di trasmissione tra le richieste di Cosa Nostra e l’allora Governo Berlusconi che si era da poco insediato”.

Gli imputati sono stati riconosciuti tutti colpevoli del reato di cui all’art. 338 c.p. (violenza o minaccia ad un corpo politico ammnistrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti), avendo intimidito il Governo minacciando altre stragi nel caso in cui non fosse cessata l’offensiva antimafia di ben tre governi che si sono succeduti alla guida dell’Italia tra il 1992 ed il 1994.

Critiche sono state mosse alla sentenza da alcuni studiosi di diritto penale basate sul fatto che il Governo italiano non è un organo politico ma costituzionale e la tutela degli organi costituzionali è assicurata da un’altra norma del codice penale, ossia l’articolo 289 che, peraltro, è stato modificato nel 2006.

E nella nuova formulazione della norma non si parla di minaccia bensì di ‘atti violenti’, ed è questo il motivo per cui la Procura alla fine ha ripiegato sull’articolo 338. Ma resta il problema di fondo: la pressione sul governo da parte della mafia e dei concorrenti nel reato, ipotizzata dalla pubblica accusa, ricade solo nella previsione dell’articolo 289. Errata sarebbe, quindi, la scelta del reato.

Sono ben dieci milioni di euro la somma che è stata riconosciuta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, parte lesa nel processo, costituitasi parte civile.

Polemiche anche le dichiarazioni dei difensori degli imputati, che hanno registrato una grande delusione, e che attenderanno i novanta giorni previsti per il deposito delle motivazioni della sentenza per appellare la decisione.

Il p.m. Vittorio Teres, ha detto: “Questo processo e questa sentenza sono dedicati a Paolo Borsellino, a Giovanni Falcone e a tutte le vittime innocenti della mafia”.

                                                                                                      

 

 

Avv. Maria Teresa De Luca

 

 

 

 

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