Trauma psico emotivo dopo una rapina verificatasi all’interno dell’ambiente di lavoro: i giudici della Cassazione chiariscono i termini della risarcibilità e della sua qualificazione giuridica: infortunio o malattia professionale?

La vicenda

A seguito di una rapina intervenuta all’interno dell’ambiente di lavoro, una lavoratrice aveva presentato istanza al Tribunale di Civitavecchia al fine di ottenere la corresponsione dell’indennizzo per infortunio sul lavoro ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000
La donna asseriva che dopo l’episodio le era stato diagnosticato un trauma psico emotivo con disturbo post traumatico da stress e una inabilità pari al 10%
In primo grado la sua stanza era stata accolta; ma in appello l’esito veniva ribaltato con una sentenza della Corte d’appello di Roma che accoglieva il ricorso proposto dall’INAIL, in ordine alla inapplicabilità della normativa introdotta dal D.Lgs. n. 38 del 2000, alla fattispecie in esame, posto che si trattava di infortunio, e non di malattia professionale e che esso si era verificato prima del 25 luglio 2000, data di entrata in vigore della L. n. 388 del 2000, art. 73, comma 3.
Ebbene secondo la precedente disciplina, di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, la percentuale di inabilità minima per ottenere la prestazione assicurativa doveva essere pari al 11% e non anche il 10% come quella esibita dalla parte attrice.

Rapina sul lavoro: infortunio o malattia professionale?

Al riguardo si sono pronunciati anche i giudici della Cassazione i quali hanno confermato la decisione impugnata per le ragioni che seguono.
Secondo la condivisa giurisprudenza di legittimità (cfr., per tutte, Cass. 26 maggio 2006 n. 12559 e numerose successive conformi), la nozione legale di causa violenta lavorativa comprende qualsiasi fattore presente nell’ambiente di lavoro in maniera esclusiva o in misura significativamente diversa che nell’ambiente esterno, il quale, agendo in maniera concentrata o lenta, provochi (nel primo caso) un infortunio sul lavoro o (nel secondo) una malattia professionale.
Nel caso di specie, era indubbio che la rapina, quale atto doloso del terzo, configurasse una ipotesi di causa violenta e concentrata, potenziale generatrice di danni alla salute della vittima, e cioè quale causa di un infortunio ai sensi dell’art. 2 del tu. n. 1124 del 1965, con ogni conseguenza relativa all’applicazione del criterio di successione di legge derivante dalla introduzione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13.
Inoltre, la non immediata percezione delle reali origini dello stato invalidante non assumeva alcun rilievo ai fini della qualificazione dell’evento come malattia professionale.
Non vi erano dubbi, allora per ritenere immune da vizi la decisione impugnata e per tali motivi il ricorso della lavoratrice è stato respinto, con conseguente condanna, di quest’ultima, al pagamento delle spese del giudizio.

La redazione giuridica

 
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