La salute mentale ai tempi del DSM-5, ossia come dare dei malati ai soggetti a volte “normali”

Chi stabilisce cosa è normale e cosa patologico? Sostanzialmente i “giudici” sono due, ciascuno di noi è in grado di saper dire se sta soffrendo per una determinata condotta, per un determinato sintomo ed anche la società in cui viviamo ce lo segnala. Una persona potrebbe sentirsi completamente a proprio agio nel camminare nuda per strada, ma di certo dopo qualche passo verrebbe bloccata. La società e la cultura a cui apparteniamo sanciscono anche per noi ciò che è “sano” da ciò che non lo è. Quello che è considerato la Bibbia della salute mentale, è il  DSM (Diagnostic and Statistical Manual of mental  Disorders) , manuale nato in America al fine di fare chiarezza nel campo della psichiatria.  La prima edizione di questo manuale, nato nel primo dopoguerra, era composto da 106 categorie diagnostiche presentate in 130 pagine, ad oggi, invece, con il DSM-5 ritroviamo ben oltre 3oo categorie diagnostiche presentate in 572 pagine, la differenza è sostanziale.  Ci ammaliamo di più? Siamo più pazzi?
Dopo l’uscita del DSM-IV, cioè l’edizione precedente a quello attuale,  c’è stata una vera e propria esplosione di tre epidemie: un’epidemia di ADHD (Iperattività), un’epidemia di Autismo e un’epidemia di Disturbo Bipolare*, è quanto ammette lo stesso Allen Frances, curatore della Task Force per la stesura del DSM-IV. Il DSM-5, quello entrato in vigore nel 2013, ha continuato la patologizzazione di una certa “normalità” e sono fioriti tanti disturbi. Solo per fare un esempio, mio padre che a quasi 70 anni dimentica qualche cosa potrebbe rientrare nel “Disturbo Cognitivo Minore”, mentre dei bambini particolarmente capricciosi nel “Disturbo del temperamento irregolare”, le preoccupazioni per la salute invece ci possono far rientrare nel “Disturbo da Sintomo Somatico”. È sempre grazie al DSM-5 che ho scoperto di soffrire di “Disturbo Disforico Premestruale”, sì perché se una donna nella settimana precedente al ciclo mestruale sperimenta alcuni tra i seguenti sintomi, ha un “disturbo”: sbalzi di umore, ansia, faticabilità o mancanza di energia, alterazione dell’appetito, alterazione del sonno, sintomi fisici come tensione al senso, dolori articolari o muscolare, sensazioni di gonfiore o aumento di peso.
Sembra quasi di fare un tuffo nel passato, a quando una donna se commetteva un reato a ridosso del ciclo mestruale, godeva di un giudizio meno severo. E il DSM cosa propone quando si rileva un disturbo? Un intervento a base di farmaci e terapia cognitivo-comportamentale, sì perché se ci sono dei comportamenti che danno fastidio, è meglio estinguerli!
Credo che le manovre fatte dal DSM siano pericolose in quanto tendono a “patologizzare” una serie di condizioni che potremmo definire “normali” e facenti parte dell’esperienza di vita dell’uomo. Il DSM propone un modello di uomo non tanto “equilibrato”, bensì che non “disturbi”, che non si opponga ed ogni minima deviazione viene facilmente (troppo facilmente) ricondotta ad una patologia. Fortunatamente il DSM è solo una delle anime della psichiatria, influente, ma non è l’unica. Tutte le correnti che danno spazio alla soggettività, agli aspetti più connessi al mondo interno ed inconscio del soggetto, contrastano con questa visione di blanda patologizzazione della società.

 Dott.ssa Rosaria Ferrara

(Psicologa Forense)

 
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*Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2013/11/dsm5-intervista-allen-frances/
 

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