La Cassazione fa il punto sull’abuso di mezzi di correzione da parte dell’insegnante che decide di umiliare lo studente.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45736/2018, ha fornito chiarimenti in merito all’atto di umiliare lo studente da parte dell’insegnante. I giudici specificano che tale atteggiamento denigratorio può configurare un abuso dei mezzi di correzione.

Per gli Ermellini, il docente che decide di umiliare lo studente, svalutandolo psicologicamente, e/o compiendo gesti di violenza morale e fisica, seppur considerati innocui o rivolti a scopi educativi, gli provoca danno.

A maggior ragione se l’alunno presenta difficoltà di linguaggio e il comportamento del docente rischia di provocargli pericoli per la salute.

La vicenda

Nel caso di specie, un ragazzo frequentante la scuola media e affetto da disturbo del linguaggio, era stato oggetto di maltrattamenti da parte del docente.

Questi consistevano in frequenti denigrazioni alla presenza dei compagni a causa della sua balbuzie, addirittura giungendo in un’occasione a colpirlo con un flauto in testa in presenza dei compagni. L’atto di umiliare lo studente era giunto al culmine con uno schiaffo scagliato contro il ragazzo.

A quel punto i genitori hanno deciso di agire in giudizio contestando all’insegnante il reato di cui all’art. 572 del codice penale. Ciò poiché le suddette condotte, avevano aggravato la balbuzie del ragazzo per un tempo superiore a 40 giorni.

In prime cure il giudice è stato condannato per maltrattamenti. La Corte d’Appello riqualificava il reato nel meno grave abuso di mezzi di correzione, però.

Infatti, per il giudice a quo, andava escluso l’intento vessatorio nei confronti del ragazzo, essendo emerso il rancore del giovane nei confronti del professore e la sua insofferenza alle regole imposte.

Regole cui si ribellava con atteggiamenti ostili verso docenti e compagni.

Tuttavia, era da ritenere attendibile che condotte denigratorie del professore, accertate, fossero sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 571 c.p..

Questo, peraltro, tenendo conto anche della documentazione medica prodotta, dimostrativa del pericolo di una malattia della persona offesa.

In Corte di Cassazione, il professore ha contestato il difetto del pericolo concreto di una malattia nel corpo o nella mente, richiesto dalla condotta tipica del reato.

A suo avviso, si era trattato di comportamenti del tutto innocui.

Ma per la Cassazione, la condanna ex art. 571 c.p. è corretta.

I giudici, infatti, hanno accertato la condotta denigratoria del docente, confermata dalle testimonianze non solo dell’alunno, ma anche del personale scolastico presente.

Infine, sulla offensività dell’abuso, faceva fede la certificazione medica prodotta.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, conferma che integra il reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina, il comportamento dell’insegnante che decide di umiliare lo studente “causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità” (cfr. Cass. n. 47543/2015).

Pertanto, si ritiene sufficiente il ricorso, da parte dell’insegnante, a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima e orientata a scopi educativi (cfr. Cass. n. 6654/2016).

Per quel che riguarda invece il pericolo di una malattia fisica o psichica richiesto dalla norma, non occorre che questa si sia realmente verificata e il pericolo non deve essere accertato necessariamente attraverso una perizia medico-legale.

È sufficiente che la condotta dell’agente presenti connotati tali da poter produrre siffatta conseguenza.

Da ciò discende il rigetto da parere della Cassazione di tutte le critiche difensive.

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