Il nostro sistema giudiziario è al collasso! E’ questo che si ripete da tempo ed a tutti i livelli.
E’ così da anni in effetti e non, per come molti ritengono, per esclusiva colpa di Giudici lavativi, Avvocati arraffoni che godono della lunghezza delle cause o, finanche, occulte trame che mirano a influenzare l’andamento della Giustizia. E’ così, molto più semplicemente, perché il numero di giudicanti, assistenti, cancellieri ed impiegati del comparto giustizia è assolutamente inadeguato a reggere la mole di cause che, ogni anno, intasano le nostre Corti e i nostri Tribunali.
E’ naturale che serva una soluzione onde evitare lo stallo ma, nel nostro amato Paese, dove si spendono decine di miliardi (circa 83 miliardi di euro) in beni per il funzionamento della pubblica amministrazione per i quali si stima che il 20% (circa 16 miliardi di euro) siano assolutamente inutili, anziché orientare meglio la spesa andando ad assumere nuovi magistrati e impiegati, si preferisce che, come sempre, a pagare siano i cittadini… non in denaro, ovviamente, ma in giustizia negata.
Il termine “deflazione dei giudizi” è ormai di uso comune e le strategie messe in atto dal legislatore per scoraggiare gli italiani a ricorrere alla giustizia ordinaria sono molteplici. Si va dalla crescita scriteriata dei costi di avvio del giudizio, alle sezioni filtro,dalla riduzione dei termini per compiere atti, alla modifica delle leggi sulle spese di giustizia, ed è proprio di questo ultimo aspetto che voglio occuparmi.
La giusta ragione, la offre una sentenza del Tribunale di Ferrara, nella quale viene fatto uso del criterio di divisione delle spese di giustizia previsto dall’art. 91 del codice di procedura civile, articolo questo, che di fatto sovverte e cancella il naturale principio della soccombenza secondo il quale, detto in termini elementari, “chi perde paga”.
La sentenza è la n.944/2016 e riguarda un caso di, offesa e lesione dell’onorabilità personale tramite Facebook. Ebbene, al di là della vicenda in sé, in riferimento alla quale il giudice ha correttamente agito condannando l’autore dell’offesa, ciò che colpisce è la circostanza per la quale, a conti fatti, colui che ha subito l’offesa, conclamata e accertata e che, quindi, ha vinto la causa, ha dovuto sborsare più soldi di quanti ne abbia ricevuto come risarcimento del danno e delle spese!
Vi chiederete come sia possibile. In effetti non dovrebbe esserlo poiché la vittoria della lite dimostra la legittimità della richiesta di giustizia ma, in Italia, pur di eliminare giudizi velocemente e non dover attendere la sentenza ci si inventa di tutto.
Tornando all’art.91 c.p.c., dal quale siamo partiti, vediamo in dettaglio cosa dice: “Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa. (e fin qui tutto secondo logica. E’ il prosieguo della norma che lascia perplessi) – continua la norma –  Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta…”.
In sostanza, se durante il processo la nostra controparte ci fa una proposta che non ci soddisfa, dobbiamo comunque essere cauti nel rifiutare poiché potremmo trovarci dinnanzi ad un giudice che valuti in maniera ancora più miserrima le nostre pretese. Se ciò accade e il giudice ci da ragione riconoscendo che ciò che ci spetta è inferiore anche di un solo euro a quanto proposto dalla controparte, saremo condannati a pagare le spese di lite per tutte le fasi successive alla effettuazione della proposta.
E’ di tutta evidenza che una simile norma sia assolutamente sbilanciata, autoritaristica, aleatoria!
Infatti, chi agisce in giudizio lo fa perché sente leso un proprio diritto ma, spesso, non esiste un canone preciso per dare un valore economico alla lesione subita. Le mie aspettative di attore nella lite potrebbero essere alte, poiché alto è stato per me il grado dell’offesa.  Appare assolutamente ingiusto che un giudice possa, non solo svilire le mie giuste aspettative (ma è un rischio che si deve accettare), quanto anche gravarmi di una conseguenza tanto negativa da rendermi un “vincitore perdente”.
Del pari uguale regola non vale per la controparte che, se avanza una offerta realmente irrisoria, non vedrà in alcun modo aumentata la propria condanna in caso di sconfitta.
Da ultimo, con tale norma viene meno uno dei cardini dell’ordinamento giudiziario italiano… quello del principio della soccombenza. Se io agisco in giudizio e vinco, significa che il mio ricorrere al giudice, il mio far lavorare egli ed i cancellieri, il mio aggiungere lavoro nel ruolo giudiziario, era ampiamente giustificato dall’avere ragione! Così come pure, il mio valutare il danno subito, è qualcosa di assolutamente personale che deriva da una moltitudine di fattori esterni al giudizio e che, il Giudice, non sarà mai in grado di comprendere appieno. Necessariamente sarò costretto a sottostare alla sua valutazione ma, quant’anche essa sia diversa dalla mia, non deve da tale divergenza di personali vedute derivare un danno.
Diverso è se in caso di enorme differenza fra il chiesto e il riconosciuto (che può mostrare una malizia della parte attrice) si giunga ad una compensazione delle spese totale o parziale.
Come ultima spiegazione della gravità di ciò di cui si discute, offro un esempio pratico. Ammettiamo che in una identica vicenda, si trovi un giudicante che sia particolarmente sensibile rispetto alla lesione dei diritti della personalità. Ebbene, la sua valutazione del danno potrebbe essere molto maggiore rispetto all’offerta di transazione. In questo caso io vincerò la causa, incasserò il risarcimento e tutte le spese senza nulla dovere.
Alla luce di ciò, si comprende facilmente come venga del tutto meno la certezza del diritto e delle sue conseguenze che, da principio fondante, diventa alea fortunosa, il chè priva di dignità lo stesso sistema giudiziario.
Concludendo, al di là delle riflessioni, essendo questo il mondo con il quale ci si deve confrontare suggerisco una certa prudenza poiché, già da qualche tempo, oggetto di valutazione giudiziaria non è più la lesione del diritto di chi agisce, ma il risparmio di tempo e risorse per il sistema giustizia. Ergo, dinnanzi ad una proposta ricevuta, occorrerà munirsi di massima obiettività e intelligenza strategica, giacchè a volte è meno doloroso ingoiare un piccolo boccone amaro, che un enorme rospo come è accaduto al protagonista della sentenza in commento.

                                                                                                                             Avv. Gianluca Mari

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