In caso di un solo timbro che attesti il deposito dell’atto, il termine lungo per impugnare la sentenza decorre dalla data di pubblicazione, ossia dal giorno del suo effettivo deposito presso la cancelleria del giudice che l’ha pronunciata

In presenza di un solo timbro attestante il deposito del provvedimento “Il cd. termine lungo per l’impugnazione della sentenza previsto dall’art. 327 c.p.c. decorre dalla data di pubblicazione, cui la norma espressamente si riferisce, ossia dal giorno del suo deposito ufficiale presso la cancelleria del giudice che l’ha pronunciata, attestato dal cancelliere, che costituisce l’atto mediante il quale la decisione viene ad esistenza giuridica, mentre alcuna rilevanza assumono, in mancanza di tale adempimento, la data di deposito della sola minuta, perché mero atto interno all’ufficio che avvia il procedimento di pubblicazione, e quella di inserimento del provvedimento nel registro cronologico, con l’attribuzione del relativo numero identificativo” (conf. Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 2745 del 07/11/2019, non massimata).

Solo in presenza di più timbri apposti sulla copia della sentenza impugnata può, invece, invocarsi il principio – affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 18569 del 22/09/2016) secondo cui “Il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione.

Qualora, peraltro, tali momenti risultino impropriamente scissi mediante apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, il giudice deve accertare -attraverso istruttoria documentale, ovvero ricorrendo a presunzioni semplici o, infine, alla regola di cui all’art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all’impugnante provare la tempestività della propria impugnazione- quando la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo” (conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6384 del 13/03/2017, Rv.644662 e Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 20447 del 02/08/2018, Rv.650297).

Tali principi sono stati, di recente, ribaditi dalla Sesta Sezione Civile della Cassazione, n. 16434/2019/2019.

Il caso

La vicenda trae origine dal ricorso in opposizione originariamente formulato contro l’ordinanza ingiunzione del provvedimento prefettizio notificato ai sensi della L. n. 689 del 1981, ex art. 22. L’opponente lamentava la mancata audizione dell’interessato e la tardività del provvedimento emesso dall’amministrazione.

In primo grado il Giudice di Pace adito aveva accolto l’istanza. In secondo grado il Tribunale aveva dichiarato inammissibile il gravame, formulato dall’appellante, per tardività dello stesso.

Di qui il ricorso per Cassazione con il quale l’originario opponente, contestava l’errore commesso dal giudice di secondo grado per aver considerato, come dies a quo per il computo del termine di decadenza per impugnare la sentenza di prime cure, non la data di effettivo deposito della sentenza, come risultante dal timbro apposto sulla stessa.

In applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, il ricorso è stato accolto e la decisione impugnata, cassata con rinvio.

La redazione giuridica

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