Si sente spesso parlare di valutazione del danno in via equitativa. Ma cosa vuol dire esattamente? E soprattutto quali sono i limiti di tale giudizio?

Di recente i giudici della Corte di Cassazione hanno chiarito i termini della questione in ordine al potere del giudice di quantificare il danno secondo una valutazione equitativa, chiarendo altresì la fonte di tale legittimazione.

La Corte d’Appello di Napoli nel 2016 aveva rigettato la domanda proposta da una società contro Telecom Italia al fine di sentirla condannare per l’inadempimento del contratto di somministrazione per erroneo addebito del traffico telefonico e di risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’illegittima disattivazione dell’utenza.

La società si rivolgeva così ai giudici della Suprema Corte di Cassazione, lamentando che la Corte d’appello, dopo aver accertato l’inadempimento della società di telecomunicazioni, aveva comunque rigettato la domanda di risarcimento dei lamentati danni ritenendo che non fossero stati offerti criteri idonei per farsi luogo alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.

Ebbene, per il Supremo Collegio, il ricorso è manifestamente fondato.

Si legge in sentenza che, per consolidato principio esistente nella giurisprudenza di legittimità, la valutazione equitativa del danno ossia “la compensazione economica socialmente adeguata” o quella che “l’ambiente sociale di riferimento accetta come compensazione equa” (cfr. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 30/6/2011, n. 14402) è subordinata alla dimostrata esistenza di un danno risarcibile non meramente eventuale o ipotetico ma certo (cfr., da ultimo, Cass., 8/7/2014, n. 15478, e già Cass., 19/6/1962, n. 1536), e alla circostanza dell’impossibilità o estrema difficoltà (v. Cass., 24/5/2010, n. 12613, e già, Cass., 6/10/1972, n. 2904) di prova nel suo preciso ammontare, attenendo alla qualificazione e non già all’individuazione del danno (non potendo valere a surrogare il mancato assolvimento dell’onere probatorio imposto all’art. 2697 c.c.: v. Cass., 11/5/2010, n. 11368; Cass., 6/5/2010, n. 10957; Cass., 10/12/2009, n. 25820; e, da ultimo, Cass., 4/11/2014, n. 23425).

Tale valutazione va effettuata con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto e, in particolare, della rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e dei vari fattori incidenti sulla gravità della lesione.

La liquidazione del danno in via equitativa

Si osserva anche che già in passato la stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che il potere di liquidare il danno in via equitativa conferito al giudice rientra nella sua discrezionalità, senza la necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa (v. Cass., 24/10/2017, n. 25094).

Ma in ogni caso il giudice è tenuto a dare conto dell’esercizio dei propri poteri discrezionali e, perché la liquidazione equitativa non risulti arbitraria, è necessario che spieghi le ragioni del processo logico sul quale essa è fondata, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato (v. Cass. 20/5/2015, n. 10293; Cass., 30/5/2014, n. 12265; Cass., 19/2/2013, n. 4047; e già Cass., 4/5/1989, n. 2074; Cass., 13/5/1983, n. 3273), al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità.

Orbene, nel caso in commento, i giudici della corte d’appello avevano disatteso i suindicati principi, specie nella parte in cui avevano affermato che “anche nel caso in cui effettivamente la prova del danno risulta essere particolarmente gravosa, chi invoca l’applicazione dell’esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, è sempre tenuto ad offrire elementi di giudizio tali da permettere al giudice di verificare in primis l’esistenza e, successivamente, di determinare l’entità in maniera sufficientemente precisa e adeguatamente argomentata secondo criteri logici e razionalmente giustificati“.

Le evidenze del danno da illecita disattivazione della linea telefonica

Ma, se è vero che oggetto della controversia era un contratto telefonico intercorrente tra la società Telecom Italia s.p.a. e la società utente per la somministrazione del relativo servizio in favore dell’opificio industriale di quest’ultima, impegnato nella produzione di “conglomerati bituminosi” destinati per lo più, alla fornitura in favore della P.A., non vi erano dubbi circa il danno dalla stessa patito in conseguenza alla “illecita disattivazione” del servizio telefonico per “oltre otto mesi”, e, “dopo brevissima riattivazione”, per “altri tre mesi”, con “conseguente oggettiva ridotta “reperibilità” da parte dei propri clienti fornitori”.

Si trattava in altre parole – secondo i giudici del Supremo Collegio – di elementi inequivocabili ai fini della valutazione equitativa del danno “secondo l’id quod plerumque accidit“, alla stregua di “parametri medi desumibili dal mercato di quel determinato bene” (“conglomerati bituminosi”).

Tanto bastava, dunque, per accogliere il ricorso e cassare la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale per un nuovo esame nel merito.

La redazione giuridica

 

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