Un Comune italiano è stato condannato a risarcire un proprio cittadino caduto rovinosamente su un lastrone in pietra mentre passeggiava per i vicoli del centro storico

L’istante raccontava che mentre percorreva a piedi il marciapiede dei vicoli di una via cittadina, una pietra della pavimentazione si muoveva al suo passaggio, facendole perdere l’equilibrio e cagionandone la caduta, a seguito della quale riportava lesioni personali e subiva danni agli occhiali e al telefono portatile.

Talune pietre, ma non quella che aveva cagionato la sua caduta, erano state stabilizzate con del cemento posto ai rispettivi margini.

Il giudizio di primo grado

In primo grado la vicenda si concludeva con la dichiarazione di assenza di responsabilità del comune in quanto “nel caso di vicoli con lastroni non livellati e risalenti nel tempo, è notoria sia la necessità di considerare dove si mettono i piedi a causa di normali sconnessioni e buche, ma anche la prevedibilità di una possibile, normale instabilità delle lastre, come del resto nei centri storici medievali di moltissime città italiane (Firenze, Lucca, Roma), quindi per detti motivi il pedone non può fare affidamento sulla percorribilità sicura”.

Quanto al rapporto di causalità tra l’instabilità del lastrone e la caduta dell’Appellante, la sentenza impugnata affermava: “secondo una prognosi di normalità, il mero movimento di un lastrone (a meno che non sia reso scivoloso, il che non è stato argomentato, non appare da solo in rado di far cadere una persona adulta di normali capacità fisiche, a meno che essa non stia correndo o non si trovi in condizioni che non assicurino un pieno, prefetto equilibrio nell’incedere, il che non è stato allegato o dedotto”.

Ma secondo il ricorrente, la sentenza meritava di essere riformata sul presupposto che una pietra basculante ben può rappresentare una insidia o trabocchetto, ai sensi della giurisprudenza di legittimità. Essa è di per sé ostacolo non percepibile. Peraltro, il riferimento ai centri storici medievali neppure era appropriato in quanto il vicolo in cui si era verificato il sinistro era aperto al traffico dei veicoli autorizzati.

Non soltanto, ma si trattava anche di un vicolo senza marciapiedi, ove perciò, i pedoni erano costretti a percorrere la pavimentazione a lastroni.

Aggiunge inoltre il ricorrente, “neppure si può pretendere che l’utente della strada indovini quale lastrone sarà soggetto a basculamento”. E, il fatto che alcuni lastroni fossero stati stabilizzati con contorni in cemento avrebbe portato qualsiasi diligente il pedone a ritenere che, per tale effetto, quelli non oggetto di stabilizzazione fossero stati giudicati saldi da chi aveva operato l’intervento.

La giurisprudenza di legittimità sul concorso colposo del danneggiato

La Suprema Corte ha da sempre affermato che: “l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell’art. 2051 c.c. per difetto di manutenzione, sei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo. Nel compiere tale ultima valutazione, si dovrà tener conto che quanto più è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile e l’evento dannoso”.

È stato altresì aggiunto che “ricorrendo la fattispecie della responsabilità da cose in custodia, il comportamento colposo del danneggiato può, in base ad un ordine crescente di gravità – o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell’art. 1227 c.c.), ovvero escludere il nesso causale tra cose e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante ai sensi dell’art. 2051 c.c.), deve a maggior ragione valere ove si inquadri la fattispecie del danno da insidia stradale nella previsione di cui all’art. 2043 c.c.”.

E da ultimo, il principio per cui “anche in fattispecie nella quale trova applicazione l’obbligo di custodia di cui all’art. 2051 c.c. (…) fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa”.

Detto in altri termini, quando la situazione di possibile pericolo potrebbe essere superata mediante l’adozione di  un comportamento ordinariamente cauto da parte del danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, la quale al contratto potrà considerarsi quale mera occasione dell’evento.

Riassumendo, le situazioni possibili di pericolo sono le seguenti:

1)      il pericolo è conosciuto;

2)      il pericolo è conoscibile facendo uso della ordinaria diligenza;

3)      il pericolo è chiaramente visibile, anche se non precedentemente conosciuto o conoscibile.

Ebbene, nel caso in esame, non era contestato che la caduta si fosse verificata su un lastrone di pavimentazione di un vicolo del centro storico.

Non si contestava, neppure, che la caduta fosse avvenuta in seguito al basculamento di una pietra, dopo che il ricorrente vi aveva poggiato il proprio piede.

Ed infine, non era in discussione che il ricorrente avesse avuto in qualche modo percezione dell’instabilità dello specifico lastrone di tale da ritenere sussistente la responsabilità colposa di quest’ultimo nella causazione dell’evento.

L’ente custode della strada, doveva pertanto essere condannato a risarcire il danno al povero utente malcapitato.

La redazione giuridica

 

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