Una sentenza della Cassazione ha fornito precisazioni circa l’utilizzo, nel procedimento penale a carico di un lavoratore, di videoriprese effettuate sul luogo di lavoro.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4367/2018, ha fornito chiarimenti in merito all’utilizzo delle videoriprese sul posto di lavoro e alla possibilità di utilizzarle nell’ambito di un procedimento penale a carico di un dipendente.

Secondo gli Ermellini, i risultati delle videoriprese effettuate sul luogo di lavoro sono utilizzabili in questo frangente. Ciò in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori poste a tutela della riservatezza dei dipendenti non vietano i controlli difensivi del patrimonio aziendale. Pertanto, non giustificano l’esistenza di un divieto probatorio.

La vicenda

Nel caso di specie, protagonista era un lavoratore dipendente che era stato accusato del reato di “appropriazione indebita” (art. 646 c.p.). Questo era stato commesso in ambito lavorativo.

Il soggetto era stato condannato sia in primo che in secondo grado. L’uomo aveva quindi deciso di rivolgersi in Cassazione per ottenere l’annullamento della sentenza.

A suo avviso, la condanna doveva considerarsi illegittima. Ciò in quanto il giudice aveva fondato la sua decisione sulle videoriprese della telecamera di sorveglianza. Esse, tuttavia, non erano utilizzabili.

La Corte di Cassazione, però, ha rigettato il ricorso dell’uomo ritenendolo infondato.

Per gli Ermellini, i giudici dei precedenti gradi di giudizio avevano ben evidenziato le ragioni per le quali avevano ritenuto l’imputato responsabile del reato di appropriazione indebita.

I giudici, infatti, avevano valutato in modo corretto le dichiarazioni rese dai testimoni e le “riprese visive effettuate dalla telecamera installata all’interno del luogo di lavoro”.

Non solo. Per la Cassazione, i giudici avevano giustamente ritenuto “utilizzabili i risultati delle videoriprese effettuate con la telecamera installata all’interno del luogo di lavoro”. E questo dal momento che le norme dello Statuto dei lavoratori poste a tutela della riservatezza dei dipendenti non vietano i c.d. “controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio”.

Pertanto, la Cassazione ha deciso di rigettare il ricorso del lavoratore imputato, confermando la sentenza impugnata.

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