Una sentenza della Cassazione ha fornito precisazioni circa la possibilità che da un danno discenda o meno la violazione di un dovere

Il danno non discende automaticamente dalla violazione di un dovere.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5590 del 22 marzo 2016.
Secondo i giudici, infatti, colui che avanza una domanda risarcitoria non può limitarsi ad evidenziare la condotta colpevole della controparte, ma deve descrivere le lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta.
Non è quindi sufficiente che vi sia solo la violazione di un dovere.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Napoli aveva confermato la sentenza di primo grado. Con essa, era stata rigettata la richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali avanzata da un lavoratore.

Questi, autista di mezzi pubblici, aveva affermato di aver subito un danno a causa della “usura psicofisica e/o da stress lavorativo, per la mancata fruizione di soste durante la conduzione di automezzi adibiti al trasporto pubblico di persone su tratte urbane ed extraurbane”.
Secondo la Corte d’appello, la richiesta risarcitoria del lavoratore non poteva essere accolta.

Questo in quanto il lavoratore non avrebbe adeguatamente provato il danno derivato dal mancato rispetto dell’obbligo del datore di lavoro.

Vale a dire quella “di concedere soste di 15 minuti o più tra una corsa e l’altra nell’ambito del turno di lavoro”.
Il lavoratore, infatti, non avrebbe indicato con la dovuta chiarezza “la natura e gli elementi specifici del pregiudizio subito”.
L’autista, ritenendo la decisione in giusta, ha fatto ricorso in Cassazione.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto accogliere la sua richiesta risarcitoria.
A suo avviso il danno non patrimoniale poteva essere riconosciuto anche “sulla base della pura e semplice allegazione ogni qual volta la sua concreta esistenza sia agevolmente desumibile da massime di comune esperienza o da presunzioni semplici”.
Questo senza che il danneggiato indichi con precisione “in quale forma particolare di sofferenza si sia concretato il pregiudizio”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto infondato tale ricorso,  in quanto il danno subito non risultava essere stato provato.

Secondo la Cassazione, infatti, “la violazione di un dovere non equivale a danno e questo non discende automaticamente dalla violazione del dovere”.

Pertanto, ai fini del risarcimento del danno, occorre individuare quale sia stato l’effetto di una determinata violazione. Solo a quel punto si può configurare un danno e procedere, poi, alla relativa liquidazione.
Ciò significa che chi avanza una domanda risarcitoria, non può limitarsi ad evidenziare la condotta colpevole della controparte.
Occorre “includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l’attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha deciso di rigettare il ricorso proposto dal lavoratore. La sentenza impugnata è stata confermata e il ricorrente condannato anche al pagamento delle spese processuali.
 
 
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