L’ordinamento penitenziario stabilisce che la quantità e la qualità del vitto giornaliero dei detenuti siano determinate da apposite tabelle redatte in conformità del parere dell’Istituto superiore della nutrizione

Il Tribunale di sorveglianza di Perugia aveva rigettato il reclamo proposto da un detenuto presso la casa circondariale di Terni in materia di vitto somministrato dall’Amministrazione penitenziaria. Per l’uomo, intollerante al pesce “azzurro”, era stata predisposta una dieta che escludeva tale alimento. Tuttavia, egli lamentava che in sostituzione non era stato previsto un pesce di diversa tipologia, come avrebbe prescritto il sanitario d’istituto, ma solo la carne. Pertanto sarebbe stato violato il suo diritto a una sana alimentazione, rientrante nel più generale diritto alla salute.

La doglianza era stata ritenuta infondata sulla base, tra l’altro, della piena fungibilità della carne con il pesce a fini nutrizionali. Il detenuto, nel ricorrere per cassazione, evidenziava il contrasto della decisione impugnata con le tabelle vittuarie approvate con decreto ministeriale. Queste, infatti, includono il pesce. L’Amministrazione, pertanto,  si sarebbe dovuta attenere alle tabelle. Il tutto salvo la limitazione imposta dal sanitario che concerneva l’esclusione di alcune tipologie del citato alimento, e non la sua eliminazione dalla dieta.

Secondo il ricorrente l’ordinanza avrebbe sovrapposto proprie arbitrarie valutazioni in materia di dieta alle contrarie accettate conoscenze in campo scientifico e nutrizionistico. In particolare in ordine alla non necessarietà del pesce ai fini di un’alimentazione varia ed equilibrata.

Il Tribunale del Riesame avrebbe quindi avallato una sua discriminazione nei confronti della  rimanente popolazione detenuta.

La Cassazione, con l’ordinanza n. 51209/2018, ha ritenuto incontroverso che la dieta del detenuto fosse stata variata con l’esclusione di qualsiasi specie di pesce. Gli Ermellini, al proposito, hanno rilevato uno specifico profilo d’inosservanza di norme di diritto nelle argomentazioni  del Tribunale. Secondo quest’ultimo, le  sostanze nutrizionali del pesce sarebbero contenute in molti altri cibi che ben potrebbero sostituirsi ad esso sostituirsi senza alcuna compromissione del diritto di mangiare sano.

Invero – specificano dal Palazzaccio –  l’ordinamento penitenziario stabilisce che ai detenuti sia assicurata un’alimentazione sana e sufficiente, adeguata, tra l’altro, allo stato di salute. In particolare prescrive che la quantità e la qualità del vitto giornaliero siano determinate da apposite tabelle.  Queste sono redatte in conformità del parere dell’Istituto superiore della nutrizione e sono periodicamente aggiornate.

Ciò posto, non è certamente lecito al giudice sostituirsi agli organi tecnici ed amministrativi a ciò espressamente deputati e stabilire ciò che rientri o non rientri nella nozione di alimentazione sana ed equilibrata. Il Tribunale avrebbe dovuto invece  accertarsi del contenuto delle tabelle vittuarie e verificare se, e in che misura, esse includessero effettivamente il pesce nella dieta settimanale. In caso affermativo avrebbe dovuto far rispettare le relative prescrizioni. Da qui la decisione di annullare l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza competente per nuovo esame.

 

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