L’accesso abusivo a un sistema informatico o telematico, disciplinato dall’articolo 615 ter del codice penale è punito con la reclusione fino a tre anni

Negli ultimi mesi la Polizia postale ha registrato un numero crescente di querele da parte di uomini e donne che ritengono di essere spiati sui social network, con tentativi da parte dell’ex coniuge o partner di accedere ai propri profili per ottenere informazioni su amicizie, nonché per venire a conoscenza del contenuto di messaggi  e conversazioni private.
Tale comportamento, ai sensi dell’articolo 615 ter del codice penale, costituisce a tutti gli effetti un illecito integrando il reato di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico. La normativa, nello specifico,  prevede fino tre anni di reclusione per chiunque “abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo”.
Il dispositivo è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 1993 con l’obiettivo di tutelare la privacy degli utenti e rendere effettivo lo jus excludendi alios, ovvero il diritto di escludere o impedire l’accesso di persone non autorizzate, anche al proprio domicilio informatico, inteso come lo spazio virtuale in cui il soggetto si muove svolgendo attività e intrattenendo relazione personali.
Il legislatore ha ritenuto di estendere la tutela della privacy a tale spazio per garantire l’area di inviolabilità prevista dall’articolo 14 della Carta Costituzionale e tutelata penalmente nei suoi aspetti più essenziali e tradizionali dagli articolo 614 e 615 del codice penale. La formulazione del reato previsto dall’articolo 615 ter, inoltre, determina la sussistenza dell’illecito anche in caso di accesso illegale e spionaggio della posta elettronica altrui.
Il diritto alla riservatezza, infine, non è incompatibile con i doveri di solidarietà imposti dal matrimonio. Ciò spiega come lo spionaggio del partner sia stato spesso sanzionato, in base alla diverse ipotesi di reato, anche quando il partner ‘spione’ ha tentato di giustificarsi dichiarando di voler accertare l’infedeltà del coniuge.

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