Secondo uno studio britannico l’eccesso di grassi e zuccheri nella dieta della donna in gravidanza potrebbe avere correlazione con i sintomi dell’ADHD, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività, dimostrata dai bambini che rivelano problemi di comportamento nei primi anni di vita.

A sostenerlo sono i ricercatori del King’s College di Londra in uno studio che appare sul Journal of Child Psychology and Psychiatry. Secondo gli studiosi dunque troppi grassi e zuccheri nell’alimentazione della gestante modificherebbero l’espressione di un gene associato ai disturbi del comportamento. È la prima ricerca che segnala un legame tra l’alimentazione e problemi di comportamento e ADHD. Ciò che la madre mangia dunque modificherebbe l’espressione genica che sarebbe direttamente ereditato dal figlio con potenziali ripercussioni sul comportamento futuro.

Gli studiosi si sono concentrati sulla metilazione del DNA – una modificazione del codice genetico – di IGF2, un gene coinvolto nello sviluppo fetale e nello specifico nello sviluppo di aree del cervello coinvolte nell’ADHD, il cervelletto e l’ippocampo. La ricerca ha rivelato una similitudine con i figli di madri malnutrite nei Paesi Bassi nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Esiste dunque una correlazione tra diete povere e diete malsane, ricche cioè di grassi, zuccheri, alimenti trasformati e dolciumi. I bambini di donne che hanno seguito questo regime alimentare hanno mostrato una maggiore metilazione di IGF2 con manifestazioni premature di problematiche comportamentali.

Dal King’s College i ricercatori dunque giungono alla conclusione che una corretta dieta prenatale può diminuire i sintomi dell’ADHD e i problemi di comportamento nei bambini. “Questo è incoraggiante – sostiene Edward Barker del King’s College – dato che i fattori di rischio nutrizionali ed epigenetici possono essere modificati”. È necessario ora entrare più nello specifico per conoscere quali grassi eliminare. “Grassi come gli acidi grassi omega-3, contenuti in pesce, noci, pollo” ricorda Barker, “sono estremamente importanti per lo sviluppo neurale”. In Italia si stima che il disturbo colpisca l’1% dei bambini tra i 6 e i 18 anni.

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