Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 16 febbraio – 8 aprile 2016, n. 6919

“In tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente/a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”.

La causa aveva ad oggetto le modalità di affidamento e mantenimento di una minorenne nata dopo l’interruzione della convivenza dei genitori, quando la madre lasciava la residenza comune portando con sé la figlia.

Il Tribunale di primo grado aveva già disposto l’affidamento condiviso della minore ad entrambi i genitori, collocata presso la madre e con incarico ai Servizi sociali di monitorare la situazione. Con successivo decreto lo stesso Tribunale, tenuto conto dell’atteggiamento della figlia di rifiuto del padre, vietava a quest’ultimo di frequentarla, prescrivendo alla ragazza un percorso psicoterapeutico finalizzato a far riprendere i rapporti con il padre e a consentire a entrambi i genitori di rivolgersi ai servizi psico-sociali per un sostegno allo svolgimento dei compiti genitoriali.

Qualche tempo dopo, nonostante la denuncia del padre, che lamentava l’esistenza della “sindrome di alienazione genitoriale” (PAS), determinata dalla campagna di denigrazione che la sua ex coniuge aveva posto in essere nei confronti della figlia, il Tribunale confermava il precedente decreto.

L’uomo proponeva, pertanto, nuovamente reclamo, questa volta dinanzi ai giudici della Corte d’appello di Milano, chiedendo che fossero svolte nuove indagini peritali che facessero luce sulle ragioni dell’ostilità manifestata dalla figlia nei suoi confronti e favorissero la ripresa dei propri rapporti con quest’ultima. Ma anche questa volta con scarsi risultati.

Di seguito la pronuncia della Cassazione.

La Corte di Appello – affermano i giudici Ermellini – “ha disposto l’interruzione della frequentazione del padre con la figlia in ragione della indisponibilità o avversione manifestata nei suoi confronti dalla ragazza, senza una approfondita indagine sulle reali cause del suo atteggiamento e seguendo l’indicazione finale del c.t.u., sebbene questi avesse evidenziato anche i rischi che la distanza dalla figura paterna potesse nel tempo arrecare alla ragazza e, soprattutto, le analoghe criticità dei rapporti della ragazza con la madre, caratterizzati da “ambivalenza e aggressività”, e tra gli stessi genitori.

È ben noto – come più volte affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità – che in tema di affidamento dei figli minori il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (v. Cass. n. 18817/2015).

Non può esservi dubbio che tra i requisiti di idoneità genitoriale, ai fini dell’affidamento o anche del collocamento di un figlio minore presso uno dei genitori, rilevi la capacità di questi di riconoscere le esigenze affettive del figlio, che si individuano anche nella capacità di preservargli la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull’altro genitore.

Ciò detto – aggiunge la Cassazione  “non compete a questa Corte dare giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche e, nella specie, della controversa PAS, ma è certo che i giudici di merito non hanno motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte della figlia e sono venuti meno all’obbligo di verificare, in concreto, l’esistenza dei denunciati comportamenti volti all’allontanamento fisico e morale del figlio minore dall’altro genitore. Il giudice di merito, a tal fine, può utilizzare i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia (incluso l’ascolto del minore) e anche le presunzioni (desumendo eventualmente elementi anche dalla presenza, laddove esistente, di un legame simbiotico e patologico tra il figlio e uno dei genitori). Tali comportamenti, qualora accertati, pregiudicherebbero il diritto del figlio alla bigenitorialità e, soprattutto, alla sua crescita equilibrata e serena”.

Può dirsi soddisfatto allora, l’uomo che aveva più volte denunciato la violazione del suo diritto alla genitorialità, ed in generale del principio di bigenitorialità, ovverosia del diritto del bambino di avere un rapporto equilibrato ed armonioso con entrambi i genitori, nell’ottica di garantire a quest’ultimo un sano ed equilibrato sviluppo psico-fisico.

Avv. Sabrina Caporale

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