Cyberagonia del diritto d’autore. Nel 2001 in veste di giudice penale del Tribunale di Roma emisi quella che venne definita sentenza «anticopyright».

Assolsi quattro venditori extracomunitari di cd contraffatti per stato di necessità (fame), avendo rilevato un danno sociale in concreto inesistente per il limitato numero di copie vendute e per analogia con la diffusione «anticopyright» dell’arte libera e gratuita in rete. Tutti compravano e comprano cd per strada, tutti scaricavano e scaricano musica e altro dalla rete col peer to peer e condannare a 8 mesi quei poveracci mi sembrava davvero ingiusto. Per quella pronuncia di assoluzione fui deferito al Consiglio superiore della Magistratura dall’allora ministro della Giustizia Castelli, per poi essere dal Csm “pienamente prosciolto perché la sentenza era perfettamente corrispondente a legge”.

In veste di paladino delle nuove frontiere digitali portavo avanti la mia visione di artista d’avanguardia che ritiene praticamente pressoché scomparso il diritto d’autore grazie alla nuova tecnologia d’internet. Reputo che l’opera d’arte non sia dell’autore ma dell’Umanità, da cui l’artista ricava tutti i materiali, pur riconoscendogli una paternità morale e un limitato diritto di sfruttamento commerciale.

Insomma chiunque crea un’opera, un brevetto etc., è tributario all’intera umanità presente e passata del dono creativo che ha tra le mani. Dal punto di vista giuridico la proprietà intellettuale è abbattuta a favore di un mero possesso (detentio) che dà diritto a compensi minimi agli autori, ai produttori, ai distributori. Insomma nessuno, ribadisco nessuno può vantare alcuna proprietà né assoluta né relativa sul prodotto artistico.

In questa strategia sono andato oltre le Creative Commons, che rappresentano una riforma parziale del diritto d’autore conservatore attuale ma non risolvono i problemi di fondo. Le licenze CC. Sono, comunque, sottoposte alla volontà dell’autore che potrebbe anche non rilasciarle. Nell’anticopyright, invece, all’autore “va imposta la diffusione libera e gratuita delle sue opere nella Cyberteca Universale” salvo a lucrare per quanto può sul prodotto confezionato.

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Di Francione è uscito, per i caratteri della Arduino Sacco editore, il saggio No Copy, No party (Memorie e rivoluzioni del giudice anticopyright). Francione ricorda quella sentenza che sconquassava il diritto d’autore, prendendo atto che è stato travolto dalla nuova tecnologia. Ci spiega in maniera chiara e scorrevole, anche per i non addetti ai lavori, la sua rivoluzione anticopyright in nome di una proprietà intellettuale ridotta ai minimi termini, in quanto non più patrimonio del singolo ma all’origine dell’intera Umanità. Alla fine il libro è un inno per una costituzionale arte libera e gratuita per tutto il mondo sul modello dilagante di internet.

La mia sentenza fu seguita da alcuni giudici, pochi in verità. Ma qualcuno deve cominciare nella rivoluzione di un fenomeno, il copyright commerciale, che in tale caso si pone come ostacolo alla libera e gratuita e dilagante diffusione della cultura che è benessere per l’umanità. Avendo lo strumento per non pagare più, internet, dobbiamo batterci per l’uso radicale del web gratuito e diffusivo all’ennesima potenza.

Eppur si muove. Dieci anni dopo, nel 2011, lessi: “La vendita di copie pirata favorisce il mercato degli originali. In ogni caso, invertendo l’argomentazione giuridica, è concepibile che un cliente, dopo aver sentito o visto la copia pirata, possa decidere di acquistare gli originali … in modo che la vendita di copie pirata, lungi dal nuocere, favorisca il mercato delle riproduzioni originali”.

Chi l’aveva scritto questo commento deflagrante? Un esponente del Partito Pirata? Un arruffapopolo, dedito a sbornie di demagogia? No, era stato messo nero su bianco in una sentenza pronunciata da un giudice spagnolo all’esito di un procedimento penale che vedeva come imputati dei venditori di cd/dvd “pirata”. Era il segno che l’anticopyright dilagava nel tempo e nello spazio. Ma vediamo come funziona nel mio progetto l’anticopyright. Finisce il ricatto del prodotto artistico che può essere utilizzato solo pagando. L’arte è di tutti!

Con l’anticopyright, se hai i soldi, paghi il mio prodotto confezionato (ad es. libro cartaceo). Se hai pochi soldi, paghi il prodotto degradato (dvd, cd, dischetto etc.). Se non hai soldi, usufruisci gratuitamente della mia opera in rete. Ciò grazie alla cyberteca universale dove ogni autore è tenuto a depositare e mostrare la sua opera. E l’autore guadagna? Certo che guadagna: in primis il vero profitto per l’autore è veder diffusa la sua opera ma poi anche materialmente guadagna ad es. col vendere comunque il prodotto confezionato o degradato, con l’esecuzione dei suoi pezzi, col ricevere dal server una percentuale in rapporto al tempo necessario a scaricare la sua opera e così via.

Sintetizzando il motto del copyright, in certo senso “ricatto legalizzato” della old economy, è: “Prima paghi e poi leggi, ascolti la musica, vedi il film”; Il motto dell’anticopyright, autentico potlach ovvero dono vicendevole della new economy, è: “Prima leggi, ascolti, vedi e poi, eventualmente, acquisti”. La verità è che la rete e il mondo sono già anticopyright. Che il legislatore possa adeguarsi, se no i magistrati, noi cibernauti fruitori liberi di arte e cultura, ci mandano tutti in galera… Anche se per la verità non basterebbe un continente come l’Australia per contenerci tutti!

Gennaro Francione

Scarica il pdf: 

SENTENZA ANTICOPYRIGHT EMESSA IL 15 FEBBRAIO 2001

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