Assegno di mantenimento, dall’ex coniuge che lo richiede non si potrà pretendere una “prova diabolica” a fronte di altri indici di non autosufficienza

Dopo la sentenza n. 11505/17, con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito di non considerare più, d’ora in avanti, il parametro del tenore di vita ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, i giudici hanno chiarito ulteriormente le modalità con le quali andrebbe fornita la prova della non autosufficienza da parte di chi richiede il mantenimento.
Nel caso preso in esame dalla Corte, questa ha respinto il ricorso di un uomo che, ritenendo eccessiva l’entità dell’assegno di mantenimento che corrispondeva all’ex moglie, ne aveva richiesto la revisione adducendo come motivazione la mancanza di prova dell’inesistenza assoluta di possibilità di lavoro da parte dell’ex.
I giudici, però, hanno stabilito che all’ex coniuge che chiede l’assegno di mantenimento, nel caso in cui la non autosufficienza possa essere desunta anche da altri fattori, non si possa più richiedere una prova simile, definita “diabolica”.
La Corte ha infatti chiarito che l’assegno divorzile ha indiscutibilmente natura assistenziale, e che questo debba essere riconosciuto in favore di chi disponga di redditi insufficienti a condurre un’esistenza libera e dignitosa, restando però nei limiti di quanto necessario senza provocare guadagni illegittimi.
Ma con la sentenza n. 11504/2017 ha stabilito chiaramente che il riconoscimento dell’assegno non deve essere legato alla prova dell‘inesistenza assoluta di ogni possibilità di lavoro, come avvenuto in questo caso specifico. Il richiedente l’assegno ha infatti dimostrato di non disporre di un impiego fisso, di non beneficiare dell’assegnazione della casa coniugale, di non percepire un reddito regolare, e ha infine dichiarato di essersi impegnato nella ricerca di un lavoro.
Contestualmente, la Cassazione ha fornito chiarimenti circa i cosiddetti “indici di prova”, rendendo quindi molto più agevole d’ora in poi provare l’autosufficienza dell’ex.
A tali indici ha aderito anche l’Associazione Italiana Avvocati di Famiglia, chiarendo in un recente comunicato stampa che “AIAF condivide quanto suggerito dai giudici di legittimità nel ritenere che potranno essere ammessi quali elementi probatori anche la mancanza di un impiego fisso e di un reddito regolare e la indisponibilità dell’uso della casa coniugale”.

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