Spesso dopo la separazione, la disgregazione economica della famiglia pesa più sulla donna che sull’uomo.

Sicuramente, pesa ancora di più quando la moglie non è più giovanissima, e ha quindi meno possibilità di trovare un lavoro che le consenta di vivere dignitosamente, e se abita al Sud.

Nel caso de quo, in costanza di matrimonio la donna non ha mai lavorato perché si è sempre e solo dedicata alla cura della famiglia e della casa, né tanto meno possiede alcuna formazione professionale.

Il punto nodale della questione portata all’attenzione della Suprema Corte è il seguente: l’affermazione della Corte d’Appello quando sostiene che le condizioni della resistente non la obbligano a trovare un lavoro, mentre incombe sull’ex marito l’onere di provare che esistono concrete possibilità per la stessa di reperire una occupazione lavorativa, violano l’art. 5 della Legge n. 898/1970 e l’art. 4 della Costituzione?

Secondo gli Ermellini, che si sono pronunciati con l’ordinanza n. 20937 depositata il 17 ottobre 2016 (Presidente Ragonesi – Relatore Bisogni), è giusto  che l’ex marito versi all’ex coniuge un assegno divorzile pari ad  €. 1.400 mensili, sul presupposto che le capacità economiche dell’uomo, percettore di un reddito di circa 40mila euro, gli consentono di provvedere dignitosamente anche alla nuova famiglia che nel frattempo si è formato.

A nulla sono valse le doglianze dell’uomo che ha evidenziato, come la ex moglie  non avesse dimostrato di essersi attivata per la ricerca di una occupazione lavorativa.

Per la Corte di Cassazione il percorso che ha portato il Tribunale prima  e la Corte d’Appello, in secondo grado,  ad attribuire alla donna un assegno di mantenimento pari ad €. 1.400 mensili è immune da censure.

Per i Supremi giudici è, infatti,  decisiva la valutazione delle condizioni della donna che «non ha mai lavorato nel corso del matrimonio», a parte la sua «attività di casalinga», e viste «l’età» e «la mancanza di una qualche formazione professionale», è difficile ipotizzare che possa «reperire un’occupazione lavorativa».

E non va soprattutto trascurato il contesto socio-economico in cui vive, ossia «le particolari condizioni del mercato del lavoro nel Mezzogiorno».

Gli Ermellini hanno, inoltre, ribadito la fondatezza dell’assunto della Corte d’Appello  quando ritiene certa l’impossibilità della donna di trovare un lavoro che non ha tenuto conto dei dati di comune esperienza secondo cui è in costante crescita la domanda di servizi alle persone, per cui al limite la donna avrebbe potuto svolgere l’attività di collaboratrice domestica.

La reiterata richiesta in tal senso dell’ex marito secondo la Cassazione, altro non è se non una rivisitazione del giudizio di merito basata sulla non corrispondenza della valutazione delle possibilità di inserimento nel mondo del lavoro della donna rispetto alle aspettative dell´ex partner.

La Corte di Cassazione ha infine  ritenuto apodittica e indimostrata la valutazione del ricorrente circa le sue esigenze economiche in seguito alla formazione di una nuova famiglia, essendo stato tra l´altro escluso che fosse stata in qualche modo raggiunta la prova della responsabilità esclusiva della ex moglie nella causazione della crisi irreversibile del matrimonio.

Tra l’altro già in sede di separazione consensuale il ricorrente  si era assunto l’onere del versamento di un assegno mensile di mantenimento in favore della ex moglie per il medesimo ammontare di €. 1.400 e sulla base di questi elementi la Cassazione ha ritenuto che lo stesso possa ancora far fronte all’impegno già assunto in sede di separazione nonostante la formazione di una nuova famiglia.

Gli Ermellini rilevato il carattere meritale di tale valutazione e ritenuta la sua non contrarietà ai criteri indicati dall’art. 5 della Legge n. 898/1970 hanno respinto il ricorso e con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

Avv. Maria Teresa De Luca

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