La Cassazione conferma la potenziale discriminatorietà della prassi che nega la concorrenza dei permessi 104 (per assistenza al disabile) alla determinazione del monte ferie

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 2466 del 31 gennaio 2018 in commento ha sostenuto che i permessi, accordati per l’ assistenza al disabile, familiare, quindi portatore di handicap, concorrono nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato.

Il percorso argomentativo seguito dalla Cassazione, in modo del tutto condivisibile, sottolinea la differente funzione sociale ricoperta dagli istituti portati alla sua attenzione, vale a dire proprio le ferie ed i permessi per assistenza.

Argomenta la SC, confermando l’arresto del collegio di merito, come sulla scorta del rilievo costituzionale tanto del diritto alle ferie che degli obiettivi di protezione e tutela per i disabili propri della l. 104, entrambi combinati con il principio generale di non discriminazione, deve concludersi affermando la concorrenza, dei permessi accordati per l’ assistenza al disabile familiare, nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne abbia beneficiato.

L’interpretazione, avallata dai giudici di legittimità richiamando la propria giurisprudenza conforme appare come l’unica idonea ad evitare l’effetto (aberrante e certamente non previsto né voluto) per il quale l’incidenza dei permessi sulla retribuzione possa essere di aggravio della situazione dei congiunti della persona con disabilità, disincentivando, nei fatti, l’utilizzazione del permesso.

Si giunge a tale conclusione attraverso la lettura sistematica delle norme e considerando che i permessi per l’assistenza ai portatori di handicap si inseriscono nell’ambito della tutela dei disabili predisposta dalla normativa interna – in primo luogo gli artt. 2,3 e 38 Cost – ed internazionale quali sono senza adito a dubbi la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 3 marzo 2009 n. 18 e la direttiva 78/2000 CE applicabile al caso di specie in quanto fattispecie originata in ragione di un rapporto di lavoro in essere.

E’ già stato infatti affermato – in altre sedi – come la Convenzione preveda espressamente il sostegno e la protezione da parte della società e degli Stati non solo per i disabili, ma anche per le loro famiglie, ritenute strumento indispensabile per il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e fondamentali da parte delle persone con disabilità.

Ne deriva che la decurtazione dei permessi sulle ferie determina un’inosservanza del principio di parità di trattamento applicabile a tutti i dipendenti, sia del settore privato sia di quello pubblico, configurando quindi una discriminazione indiretta, vietata e quindi illegittima, a danno dei disabili e dei lavoratori che li assistano.

A questo proposito sembra utile ricordare come sia compito del giudice nazionale verificare – di volta in volta e sulla base dei dati derivanti dalla fattispecie concreta.

  • se siano soddisfatti i presupposti perché un soggetto discriminato possa considerarsi affetto da handicap ai sensi della già citata direttiva 78;
  • se la misura adottata dal datore di lavoro sia effettivamente dipesa dalla condizione di disabilità;
  • se sussistendo i due presupposti appena menzionati un’eventuale disparità di trattamento possa ciononostante considerarsi giustificata in quanto preordinata al raggiungimento di un obiettivo legittimo e proporzionato a tal fine;

A queste domande la Cassazione risponde, sia pure senza esplicitarlo, ritenendo contra jus l’effetto di una interpretazione diversa del dato normativo, che sarebbe tale da disincentivare l’uso dei permessi e quindi potenzialmente da ostacolare il processo di inclusione delle persone con disabilità nella società, a tutti i livelli.

Pronunce di questo tenore (abbiamo visto come ve ne siano già state molte altre analoghe fondate su altri elementi della retribuzione, quali la tredicesima) tendono – si legge tra le righe della sentenza – a disincentivare comportamenti che porterebbero ad una discriminazione per causa di disabilità, che per quanto nel caso di specie indiretta, non è mai auspicabile per un datore di lavoro.

Non può peraltro nascondersi che – come già abbiamo avuto modo di argomentare – la confusione fra permessi e ferie può avere rilevanza penale e conseguenze tutt’altro che piacevoli, anche al di la dell’intenzione. Se infatti a mente della giurisprudenza penale non si può beneficiare dei permessi per assistenza al disabile, fruendone come se di ferie si trattasse non può consentirsi al datore di lavoro di applicare il medesimo ragionamento a proprio favore, limitando il diritto dei dipendenti a godere in toto delle proprie ferie (IN VACANZA CON IL DELITTO in q. riv.).

Su tali basi si conferma come non sia accettabile la decurtazione del monte ferie di un dipendente che abbia goduto di permessi, in forza della legge 104/92, in proprio o per assistere un congiunto.

 

Avv. Silvia Assennato
Foro di Roma

 

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