Per il Consiglio Nazionale Forense la condotta posta in essere anche al di fuori dell’attività professionale non può essere contraria ai principi generali di probità e correttezza

Le condotte che pur non riguardando direttamente l’esercizio della professione forense ledono comunque gli elementari doveri di probità, dignità e decoro del singolo e l’immagine dell’avvocatura quale entità astratta, sono idonee sempre a determinare la responsabilità disciplinare dell’avvocato.
Lo ha chiarito il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 2/2017 con cui ha sospeso dalla professione per la durata di un anno un legale sottoposto a procedimento disciplinare dopo la presentazione nei suoi confronti di vari esposti relativi alle modalità con cui aveva condotto i colloqui di alcune aspiranti professioniste che avevano presentato la propria candidatura alla pratica professionale.
I suoi atteggiamenti, nello specifico, si erano manifestati come molesti, fastidiosi, eccessivamente insistenti, arrogantemente invadenti e tali da generare una pressante intromissione della sfera altrui di quiete e libertà. Tale condotta, secondo il CNF sarebbe contraria ai principi generali di probità e correttezza, valevoli anche al di fuori dell’attività professionale.
Il disvalore del comportamento è tanto più evidente considerando che le giovani si rivolgevano all’avvocato per trovare uno studio in cui accrescere le proprie competenze, “aspettandosi non solo rispetto personale”, ma anche un rigore dettato dall’incarico che l’avvocato avrebbe dovuto assumere, quale quello di esempio e di guida per la formazione professionale delle ragazze.

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui