La responsabilità della pubblica amministrazione è da sempre questione annosa. Per anni si è dibattuto sul profilo di responsabilità della p.a.: responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. o responsabilità da cosa in custodia ex art. 2051 c.c.? La differenza è sostanziale. Mentre l’azione ai sensi dell’art. 2043 c.c. comporta la necessità, per il danneggiato, di provare l’esistenza del dolo o della colpa a carico del danneggiante, nel caso di azione fondata sull’art. 2051 c.c. la responsabilità del custode è prevista dalla legge per il fatto stesso della custodia, potendo questi liberarsi soltanto attraverso la gravosa dimostrazione del caso fortuito. Ne consegue un ovvia differenza in ordine ai temi di indagine ed al riparto dell’onere della prova: nel primo caso il danneggiato dovrà attivarsi a dimostrare qualcosa, mentre nel secondo sarà il danneggiante a doversi attivare.

L’orientamento attualmente prevalente è quello che pone a carico del danneggiato l’onere di dimostrare che la buca o la sconnessione del manto stradale avessero i requisiti di invisibilità e imprevedibilità.

Tanto era riuscita a dimostrare una signora, che attraversando una strada in un giorno di pioggia battente nel comune di Scandicci in provincia di Firenze, cadeva rovinosamente a terra dopo aver messo il piede in una buca coperta dall’acqua piovana e si procurava lesioni. Dopo il rigetto della domanda dei giudici di prime cure, trovava soddisfazione a metà in appello presso la Corte fiorentina. Ricorreva pertanto in Cassazione. Gli ermellini di Piazza Cavour con la pronuncia 18463/2015 della terza Sezione Civile, confermavano la corresponsabilità della signora, in quanto nonostante la  sua ridotta capacità visiva (era ipovedente) decideva di attraversare lo stesso da sola la strada affrontando consapevolmente il rischio di non poter avvistare, e quindi evitare, gli ostacoli presenti sul suo tragitto.

Queste le motivazioni: Con il secondo motivo di ricorso si lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla concorrente colpa della ricorrente nella determinazione dell’incidente. Osserva la V…. che il CTU aveva dichiarato nella propria relazione che la buca non era avvistabile anche da parte di persona con visibilità normale ed aggiunge che la buca era piena d’acqua, per cui non era comunque possibile rilevarne le caratteristiche di profondità e i dislivelli; sicché la sentenza non sarebbe adeguatamente motivata sul punto, avendo dato importanza al fatto che la Vinci fosse ipovedente.

Il motivo non è fondato: La Corte d’appello di Firenze ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto che la Vinci fosse corresponsabile dell’accaduto; la sentenza come s’è detto, ha osservato che la danneggiata, benché ipovedente, “consapevolmente aveva attraversato la Via X pur non essendo in grado di avvistare tutti gli eventuali ostacoli presenti sul suo tragitto.”  A fronte di tale motivazione il motivo in esame, riportando una piccola parte della relazione del c.t.u., critica la motivazione sul rilievo che la ridotta capacità visiva della danneggiata non avrebbe avuto alcuna valenza causale nella determinazione del fatto. In tal modo però il ricorso tende evidentemente a sollecitare, da parte di questa Corte, un nuovo e non consentito esame del merito; non senza porre in evidenza che è un’argomentazione assai debole quella di sostenere, nel contempo, che la buca in questione era di grandi dimensioni e, tuttavia, non avvistabile neppure da persona con una normale acuità visiva.”

Dr. Umberto Coccia

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