La Corte d’Appello di Milano ha condannato la Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – a risarcire con la somma di 6.100 euro un paziente cui a fine maggio 2010 era stato diagnosticato erroneamente un tumore

“Turbamento dell’animo determinato dalla diagnosi erronea”. Con questa motivazione la Corte d’Appello di Milano ha condannato la Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – a risarcire con la somma di 6.100 euro un paziente cui a fine maggio 2010 era stato diagnosticato un tumore, nello specifico un “adenocarcinoma infiltrante”.

Una diagnosi errata, come accertato, a luglio dello stesso anno, da ulteriori indagini effettuate presso altre strutture sanitarie. Non si trattava infatti di una forma tumorale ma di una “displasia”. Di qui la decisione dell’uomo di ricorrere in giudizio nei confronti della struttura sanitaria per avergli causato  uno “stato di profonda prostrazione psico-fisica”.

In primo grado il Tribunale civile di Milano aveva respinto le istanze del paziente, accogliendo la tesi presentata dai legali del medico responsabile della diagnosi, i quali avevano imputato l’inesattezza della stessa a una errata trascrizione della segretaria. La linea difensiva aveva poi fatto leva sulla circostanza che l’integrità fisica del paziente non era stata lesa poiché l’errore era emerso prima che venisse predisposto qualsiasi intervento chirurgico.

Il secondo grado di giudizio ha invece ribaltato la sentenza in primo grado riconoscendo la “colpa grave” nella diagnosi errata e la “compromissione dell’equilibrio psichico della persona”. La Corte ha sancito che “anche un grave errore diagnostico, pur in mancanza di un successivo danno all’integrità fisica, è idoneo a ledere il diritto alla salute nella sua più ampia accezione, come diritto al benessere psico-fisico”. Inoltre come emerge dalla sentenza “resta comunque affermata, anche a ritenere l’errore di trascrizione di una segretaria, la responsabilità contrattuale del professionista, ossia del medico, e nello specifico, il sanitario è tenuto comunque a controllare la correttezza dei referti inviati al paziente, da cui dipendono le successive scelte di questi a tutela della sua salute”.

Nel calcolare l’entità del danno e del conseguente risarcimento i giudici hanno tenuto conto che “il turbamento dell’animo si è protratto per un lasso di tempo apprezzabile (circa un mese) ma relativamente breve”, spiegando inoltre che “una diagnosi ex ante corretta non avrebbe escluso quantomeno il sospetto di neoplasia”.

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