I giudici della Cassazione hanno confermato il dispositivo di condanna emesso nei confronti dell’imputato accusato, del delitto di maltrattamenti in famiglia sebbene le condotte contestate fossero successive alla cessazione della convivenza

La convivenza, infatti, non rappresenta un presupposto della fattispecie penale e la separazione legale tra i coniugi non esclude il reato quando le condotte persecutorie incidano sui vincoli reciproci imposti dalla legge. L’assunto ormai consolidato nella giurisprudenza della Cassazione è stato più volte confermato anche nelle sentenze dei tribunali.

La vicenda

Con sentenza del Tribunale di Fermo, l’uomo nel 2016 era stato già condannato perché ritenuto responsabile dei delitti di maltrattamenti in famiglia, lesioni e violazione degli obblighi di assistenza nei confronti del coniuge.

In secondo grado la sentenza era stata riformata, riconoscendo in capo al medesimo soltanto il reato di maltrattamenti.

Cosicché l’imputato decideva di presentare ricorso ai giudici della Cassazione per denunciare l’errore commesso dalla corte territoriale nell’aver escluso l’incidenza sulla sussistenza della fattispecie penale contestata, dell’abbandono della casa coniugale da parte della persona offesa a partire dal gennaio 2010 con l’interruzione della convivenza.

L’abitualità della condotta di maltrattamento – affermava – non può essere surrogata dai vincoli nascenti dal coniugio laddove nell’arco di 18 mesi – a decorrere dal 6.1.2010 – detta asserita condotta si sarebbe concretizzata in due soli episodi, peraltro distanti nove mesi l’uno dall’altro.

Dall’altra parte vi era la persona offesa che rilevava come tale prospettazione giuridica e fattuale effettuata dal ricorrente in ordine alla pretesa cessazione dell’abitualità della condotta criminosa, proseguita in realtà anche dopo la fine della convivenza senza soluzione di continuità, fosse completamente erronea. Ciò in quanto per la giurisprudenza di legittimità la fattispecie di maltrattamenti sopravvive alla separazione legale e sussiste fino alla pronunzia del divorzio.

La decisione della Cassazione

Nel respingere il ricorso presentato dalla difesa dell’imputato, i giudici della Cassazione hanno ribadito l’ormai consolidato principio di diritto secondo cui è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando quest’ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione (Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014; Sez. 2, n. 39331 del 05/07/2016) essendo stato spiegato in tale ultima decisione che la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie.

Pertanto, quanto al rapporto tra i coniugi, la separazione legale non esclude il reato quando le condotte persecutorie incidano sui vincoli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, nonché di collaborazione, che permangono integri anche seguito della cessazione della convivenza.

Ne deriva che correttamente i giudici di merito avevano escluso l’incidenza della cessazione della convivenza tra i coniugi sulla sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia, dando contezza della abitualità della condotta anche successivamente alla cessazione della convivenza stessa.

Tale giudizio si pone in linea di continuità con la citata giurisprudenza.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 

Leggi anche:

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: VALE LA SPECIFICITA’ DEL CASO CONCRETO

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui