I giudici della Cassazione hanno confermato l’interpretazione che la corte d’appello di Bologna ha operato in relazione alla normativa sui congedi di maternità per le donne lavoratrici, sospese, assenti dal lavoro, senza retribuzione ovvero disoccupate. A rilevare è la data presunta del parto e non anche quella effettiva

Il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 24, comma 2, stabilisce che “le lavoratici che si trovino all’inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione ovvero disoccupate sono ammesse al godimento dell’indennità giornaliera di maternità (o congedi di maternità) purché tra l’inizio della sospensione, dell’assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni
Le uniche ipotesi in cui, in deroga a tale disposizione, la mancanza di retribuzione non assume rilievo ai fini del congedo di maternità, hanno carattere limitato e sono indicate nell’art. 24, comma 3, secondo il quale, ai fini del computo dei predetti sessanta giorni, non si tiene conto delle assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali, né del periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità, né del periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento, né del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.
L’art. 24, comma 4, stabilisce poi che “qualora il congedo di maternità abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all’inizio del periodo di congedo stesso, disoccupata e in godimento dell’indennità di disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità anziché all’indennità ordinaria di disoccupazione”.

La vicenda

La Corte d’appello di Bologna aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Reggio Emilia con la quale era stata rigettata la domanda proposta da una donna nei confronti dell’Inps, al fine di ottenere l’indennità giornaliera di maternità che le era stata già negata dall’Istituto, sul presupposto che l’inizio del periodo di congedo per maternità era cominciato oltre il sessantesimo giorno dalla risoluzione del rapporto di lavoro e peraltro, a quella data ella non godeva neppure dell’indennità di disoccupazione, avendone già usufruito per il periodo massimo.
Ebbene, secondo la corte d’appello l’espressione della norma “all’inizio del periodo di congedo” impone di utilizzare quale unico criterio di riferimento la data presunta del parto e non quella effettiva.
I giudici della Cassazione hanno confermato tale decisione, condividendo l’assunto per cui la data di inizio del congedo di maternità non può essere fatta decorrere da due mesi prima dalla data effettiva del parto.

La redazione giuridica

 
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