Tre giorni di riposo per le donne che soffrono di dismenorrea, mestruazioni dolorose. Il “congedo mestruale” è dunque la proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati firmata dalla deputata del Partito Democratico Romina Mura.

Una proposta che secondo la firmataria andrebbe a tutelare l’attività di milioni di donne lavoratrici. Insieme alla Mura, prima firmataria, anche Daniela Sbrollini, Maria Iacono e Simonetta Rubinato del PD che chiedono l’ “istituzione del congedo per le donne che soffrono di dismenorrea”. Una norma quindi che consentirebbe di usufruire di tre giorni di riposo durante il ciclo.

A supporto della richiesta la presentazione di dati che mostrano una percentuale che va dal 60% al 90% di donne affette da dismenorrea e “chi ne è colpito – spiegano le deputate dem – non riesce a fare nulla ed è spesso costretto a stare a letto. Questo provoca dal 13 al 51 per cento di assenteismo da scuola e dal 5 al 15 dal lavoro. La nostra proposta è di prevedere il diritto di astenersi dal lavoro per un massimo di tre giorni al mese. Ovviamente serve un certificato medico”. Le firmatarie chiedono una contribuzione piena per le donne che rimarranno a casa in quei giorni e un’indennità pari al cento per cento della retribuzione giornaliera.

A spingere la proposta – un articolo suddiviso in sei commi – è stata la decisione di un’azienda britannica di Bristol di concedere alle dipendenti un congedo mensile che permette loro di restare a casa quando i doloro mestruali sono talmente forti da impedire lo svolgimento delle proprie mansioni di lavoro. Il diritto di astensione dal lavoro fino a un massimo di tre giorni durante il ciclo mestruale esiste anche in Giappone dal 1947 e si chiama seirikyuuka.

L’onorevole Rubinato spiega di aver aderito alla proposta della collega Mura perché tocca un tema importante che oltre a riguardare i diritti delle donne è di interesse alle imprese. “È infatti dimostrato – sostiene la Rubinato – che le donne che soffrono di forti dolori durante il ciclo mestruale siano in quei giorni molto meno produttive. Per quanto riguarda la sua attuazione concreta – continua la deputata dem – in vista di una sua possibile calendarizzazione in aula siamo disponibili a discutere le forme e condizioni della misura sostenibili anche per il minor impatto sulla finanza pubblica. Si potrebbe partire su base volontaria con un gruppo di aziende che siano disponibili a una fase sperimentale, anche prevedendo che le ore di assenza dal lavoro, che possono essere al massimo di tre giorni al mese e comunque su certificazione medica specifica per evitare abusi e furberie, possano essere recuperate successivamente quando la donna lavoratrice ritorna in piena forma ed è molto più produttiva”.
Il dibattito è aperto.

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