Lo ha chiarito la Cassazione in merito alla richiesta di annullamento presentata dalla moglie di un uomo affetto da orchiepiditimite

Se fosse stata a conoscenza della patologia sofferta dal marito non avrebbe acconsentito a sposarlo. Così una moglie, sentendosi ingannata dal coniuge, ha deciso di chiedere l’annullamento del matrimonio. La malattia in questione, un’orchiepiditimite, secondo la donna avrebbe pregiudicato le possibilità di procreazione e il normale svolgimento della vita coniugale.
Sulla vicenda si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3742/2017, su ricorso presentato dalla signora avverso la decisione della Corte di Appello, che aveva respinto la sua richiesta di annullamento. Per i giudici di merito, infatti, in base a quanto previsto dall’articolo 122 del codice civile (‘violenza ed errore’ in tema di nullità del matrimonio), “l’errore essenziale che consente al coniuge l’impugnazione del matrimonio non è collegato alle reazioni soggettive che la scoperta della malattia preesistente al matrimonio può determinare nel coniuge che ne era all’oscuro, ma riguarda esclusivamente il verificarsi di una malattia di gravità tale da incidere sulle relazioni intersoggettive in generale e da vanificare la vita coniugale in particolare, secondo le normali aspettative del coniuge in errore”.
Nel caso in esame, invece, il marito non soffriva di una patologia tale da impedire il normale svolgimento della vita coniugale e pertanto l’incidenza che la conoscenza della malattia avrebbe avuto sulla volontà dell’altro coniuge è da considerare irrilevante. Tra l’altro, in base alla consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado di giudizio, la malattia era insorta subito dopo il matrimonio e non prima.
La Suprema Corte ha ritenuto corrette le argomentazioni del giudice di secondo grado. Gli Ermellini hanno ulteriormente precisato che qualora il coniuge decida di impugnare il matrimonio ai sensi della normativa sull’errore, deve provare l’esistenza di una malattia fisica o psichica dell’altro coniuge , nonché la mancata conoscenza della stessa prima della celebrazione del matrimonio, oltre all’influenza di detta mancata conoscenza sul proprio consenso. Al giudice spetta invece l’apprezzamento della rilevanza della infermità ai fini dell’ordinario svolgimento della vita familiare.
Secondo i Giudici di Piazza Cavour nel caso in questione non sussisteva “la mancata conoscenza” della moglie della malattia del marito, in quanto l’uomo ne era stato affetto a matrimonio avvenuto. Inoltre, come sottolineato dal consulente tecnico d’ufficio l’orchiepididimite è un “processo flogistico delle vie seminali” che, trattato con comuni antibiotici, regredisce abitualmente senza pregiudicare la capacità fecondativa dell’uomo”. La malattia pertanto non costituiva un impedimento al normale svolgimento della vita coniugale . Di qui la decisione di respingere il ricorso.
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