Il consenso informato è valido anche se effettuato con un disegno del taglio da fare con il bisturi

Chiunque riceva un trattamento sanitario ha diritto a essere adeguatamente informato sulle caratteristiche dell’intervento che si accinge a ricevere, sui rischi dello stesso e sugli esiti successivi alla pratica chirurgica che dovrà essere adottata nel caso specifico. Si tratta del c.d. consenso informato.

E’ questo un diritto inviolabile della persona protetto, in primis, dagli articoli 2, 13 e 32 della nostra Costituzione, oltre che dai primi articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

E la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9806 del 20 aprile 2018 è stata chiamata ad esaminare il caso di un paziente che lamentava di non essere stato adeguatamente informato sulla cicatrice lasciata da un intervento di chirurgia estetica per rimuovere un tatuaggio.

I fatti di causa

Un paziente conveniva davanti al Tribunale di Roma, un medico chirurgo e la clinica privata, ove questi operava, per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito di un intervento chirurgico eseguito dal sanitario, consistito nella rimozione di un tatuaggio impresso sul deltoide destro.

A dire dell’uomo l’intervento non aveva raggiunto un risultato soddisfacente, essendo residuata una cicatrice di notevoli dimensioni.

La responsabilità del chirurgo era ricondotta alla circostanza di non avere informato adeguatamente il paziente circa gli effetti dell’intervento.

Costituitosi, il sanitario contestava nel merito la pretesa, mentre la clinica eccepiva il difetto di legittimazione passiva.

Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda, con condanna del medico convenuto al pagamento delle somme, ritenendo non dimostrata la circostanza che il convenuto avesse adeguatamente informato il paziente, rigettando la domanda nei confronti della clinica cui non incombeva alcun dovere di controllo sulle prestazioni mediche eseguite.

Il medico proponeva appello nei confronti del solo paziente contestando la violazione del principio del consenso informato, escludendo la riconducibilità del trattamento alla chirurgia estetica e deducendo l’assenza di errori nella scelta dell’intervento e in sede di esecuzione. Contestava, altresì, l’ammontare del danno come liquidato.

La Corte territoriale rigettava l’impugnazione e condannava il medico al pagamento delle spese di lite, rilevando che sul professionista gravava un dovere di informazione la cui violazione è fonte di responsabilità contrattuale e che il convenuto non aveva dimostrato di avere assolto l’onere a lui spettante di adeguatamente informare il paziente.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il sanitario affidandosi a due motivi.

I motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c.p.c, la violazione degli articoli 228 e 230 c.p.c, nonché degli articoli 2732 e 2733 c.c. e dell’articolo 116 c.p.c. con riferimento alla motivazione della Corte d’Appello secondo cui gravava sul professionista l’onere di dimostrare di avere fornito una compiuta informazione circa gli esiti cicatriziali che sarebbero derivati, al fine di consentire al paziente di effettuare una consapevole comparazione tra costi e benefici di un intervento meramente elettivo.

Sta di fatto che, in sede di interrogatorio formale, il paziente avrebbe confessato l’esistenza di uno scambio di informazioni sulle tecniche utilizzabili e tali dichiarazioni confessorie non valutate dalla Corte territoriale.

Con il secondo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c, in quanto la sentenza avrebbe omesso di considerare gli esiti dell’interrogatorio formale, nonché le risultanze testimoniali documentali connotata dal requisito della decisività.

La Suprema Corte osserva che dalle risultanze processuali emerge che il paziente durante l’interrogatorio ha riferito che la soluzione adottata dal medico era esteticamente migliore rispetto alla dermoabrasione e che il sanitario aveva indicato con il proprio dito l’andamento dell’intervento.

Inoltre, il chirurgo successivamente, con un pennarello, disegnava il taglio che con il bisturi avrebbe dovuto fare.

Da tanto gli Ermellini ricavano che il paziente, in sede di interrogatorio formale, ha riconosciuto di avere avuto con il chirurgo un dialogo specifico sul tema, ricevendo spiegazioni tecniche sui due diversi tipi di intervento al fine di valutare quello preferibile e ciò con riferimento preciso all’esito cicatriziale di entrambi.

In pratica, il paziente ha dichiarato di avere concordato, insieme al medico, l’intervento escludendo la dermoabrasione, proprio in funzione del miglior esito cicatriziale e ricevendo indicazioni attraverso un disegno.

Ebbene, la sentenza d’appello, al contrario, omette di considerare il riferimento specifico agli esiti cicatriziali, nel momento in cui motiva il rigetto della impugnazione.

Da ciò consegue che il ricorso per cassazione deve essere accolto e la sentenza va cassata con rinvio, atteso che, in forza della omessa valutazione di un segmento delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, non sono stati esaminati i presupposti fondamentali dell’azione, quali l’onere di adeguata informazione che non riguarda solo la modalità dell’intervento, ma anche gli esiti cicatriziali che sarebbero derivati dall’intervento.

Riferiscono gli Ermellini che si tratta di una valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito che dovrà essere espletata dal giudice di rinvio.

Avv. Maria Teresa De Luca

 

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