Una sentenza del  Consiglio di Stato nega ai dipendenti pubblici la possibilità di cumulare il risarcimento per lesioni subite sul luogo di lavoro con l’indennizzo per infermità da causa di servizio

“La presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario”. E’ il principio di diritto formulato dal Consiglio di Stato con una sentenza del 23 febbraio 2018, in ordine al divieto di cumulo fra indennità dovute dagli enti pubblici e risarcimento del danno.

I Giudici amministrativi si sono pronunciati sul ricorso proposto dal Ministero della Giustizia nei confronti di una sentenza del TAR Calabria.

La vicenda giudiziaria muove dalla richiesta di risarcimento avanzata da un magistrato per il danno non patrimoniale alla salute subito a seguito di esposizione all’amianto.

I muri esterni dell’edificio presso cui aveva sede la Procura, dove l’uomo aveva lavorato per oltre 10 anni,  erano costituiti da lastre piane in cemento-amianto. Da un’indagine della unità sanitaria locale era emerso che le perforazioni presenti in tali lastre avevano determinato, con l’emissione di polvere, il rilascio di fibre di amianto. Le autorità sanitarie avevano quindi manifestato la necessità che le lastre venissero rimosse, sostituite, ovvero bonificate nel modo più idoneo. Ma i relativi lavori non sarebbero stati eseguiti se non tardivamente ed in maniera incompleta.

Il magistrato aveva  presentato istanza di riconoscimento di dipendenza di infermità da causa di servizio. Da un esame radiologico era infatti emersa la “presenza di immagine di pus da riferire ad ulcera in fase florida”. Inoltre era stato sottoposto a un intervento chirurgico per l’asportazione di una formazione neoplastica. Questa era risultata essere un «carcinoma renale a cellule chiare ben differenziato (GI) con focali aspetti papillari con micro focolaio di infiltrazioni della capsula reale».

Di qui la richiesta di liquidazione di 150mila euro. Cifra dalla quale, secondo il magistrato, non avrebbe dovuto essere detratto la somma già percepita a titolo di equo indennizzo. Un importo pari a oltre 49.000 euro che l’uomo si era visto riconoscere  per la dipendenza da causa di servizio delle seguenti infermità: “malattia peptica ulcerosa duodenale” e “esiti di nefrectomia parziale sinistra con resezione parziale della X^ costa per carcinoma sx a cellule chiare, ben differenziato (G1)”.

A detta dell’attore l’indennizzo costituirebbe uno “strumento a contenuto patrimoniale di natura previdenziale”. Il risarcimento, invece, sarebbe “finalizzato a ripristinare integralmente il danno subito, in tutte le sue qualificazioni”.

Il Consiglio di Stato ha invece chiarito che le prestazioni patrimoniali finalizzate a reintegrare la sfera personale della parte lesa, non possono essere cumulate.

Per i Giudici amministrativi, l’applicazione delle regole della causalità giuridica impone che venga compensato e liquidato soltanto il danno effettivamente subito dal danneggiato.

Sul piano della funzione degli illeciti, il riconoscimento del cumulo implicherebbe l’attribuzione alla responsabilità contrattuale di una funzione punitiva. L’esistenza di un solo soggetto responsabile e obbligato comporterebbe per  questo l’obbligo di corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare la sfera del danneggiato. Ciò determinerebbe un’ingiustificata locupletazione da parte di quest’ultimo. Tale risultato, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellato, non può ammettersi in quanto manca una espressa previsione legislativa che contempli un illecito punitivo. E’ quindi esclusa la possibilità di prevedere un rimedio sovracompensativo, così come non sarebbe nemmeno configurabile una duplice causa dell’attribuzione patrimoniale.

In definitiva, nella fattispecie in esame, l’accertata finalità compensativa di entrambi i titoli delle obbligazioni concorrenti e del conseguente meccanismo risarcitorio, impedisce che possa operare il cumulo tra danno e indennità.

 

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